Si era svegliato di soprassalto in preda a uno spavento incredibile. Gli mancava il fiato. Il sogno che aveva fatto era stato terrificante.
Aveva sognato di trovarsi su un pianeta deserto, solo nell’immensità dello spazio. Lui che era sempre stato uno uomo attento a ogni suo gesto, tutto ciò che faceva era mirato per distinguersi fra la folla. Un gentiluomo di altri tempi elegante e raffinato, la testimonianza vivente di un’epoca che, purtroppo, stava per finire. Oltre l’orizzonte arrivavano cupi brontolii, lampi di guerra, sempre più vicini.
Quella che stava per finire era un’epoca dove la parola onore aveva ancora un significato, dove uomini dabbene si sfidavano a duello per un nonnulla, proprio in difesa di quella parola tanto in voga. Gli uomini si dimostravano sempre disponibili e premurosi verso il gentil sesso, salvo poi soffrire per i loro rifiuti. Frac, tuba e bastone, era l’abbigliamento abituale, non usciva di casa se non era vestito in quel modo impaccabile. Lui, un uomo così distaccato e al di sopra delle cose del mondo, nel sogno, si trovava su un punto imprecisato dell’universo a guardare il mondo ai suoi piedi, una sensazione di potenza, ma priva di quello stile al quale lui era abituato, senza un pubblico ad assistere alla sua eleganza e al savoir faire. Questa sensazione accadeva nelle prime volte che faceva questo sogno, poi, con il ripetersi quasi ossessivo di questa visione onirica, la cosa stava diventando una tortura.
L’ultima notte si era ritrovato non più su un pianeta, ma su una semplice scala, una di quelle adibite per salire su gli aerei. Da quel piccolo punto lui vedeva ancora il mondo davanti a lui e, aveva l’impressone di dominare quel globo, ma alle sue spalle i rifiuti della società che lui tanto disprezzava si accumulavano sui gradini e salivano sempre di più, fino a sommergerlo del tutto. Si chiedeva nei pochi momenti di lucidità, quale potesse essere il significato di quel sogno, quei simbolismi così chiari cosa volevano dirgli.
Perché non c’era ombra di dubbio che qualcosa dovessero pur significare.
Quando quella mattina si era svegliato sudato e ansimante, per calmarsi si era messo seduto nel letto a pensare, cercando di interpretare l’arcano. Forse il riferimento era basato sulla sua vita inutile, fatua, senza valori concreti, quel suo atteggiamento da viveur non aveva senso, lui pensava di essere al di sopra delle parti, di dominare il mondo, mentre la dura realtà di tutti i giorni lo voleva stringere nelle sue spire, nel suo sudicio iter quotidiano.
Gastone, l’ultimo viveur, era arrivato al capolinea. Il mondo per lui ormai era troppo lontano, non poteva mescolarsi con quella pletora di persone anonime, nessuno era alla sua altezza, dov’erano le gran dame dell’alta società, dov’era il suo mondo di paillettes e champagne. Stava scomparendo nelle nubi nere che si addensavano all’orizzonte. Prima se ne rendeva conto, prima quel sogno poteva scomparire.
La prospettiva di un suo coinvolgimento nella vita di tutti i giorni era quanto di più nefasto potesse mai immaginare. Mai poteva accettare una conclusione simile.
La sera andò a dormire, come sempre, al ritorno dall’ultimo tabarin rimasto aperto. Poche ore di sonno ed eccolo, il consueto tremendo sogno che lo aspettava come tutte le notti. La mattina, al risveglio, non cercò di capire né di opporsi al destino.
Si vestì di tutto punto come ogni giorno e lentamente si avviò verso la parte alta della città percorrendo il viale alberato che costeggiava il fiume. Giunse al ponte e lì, finalmente il sogno andò in frantumi, quel mondo che pensava di dominare si dissolse nelle fredde acque di un fiume sporco e maleodorante che lo accolse.
Un uomo fuori dal tempo, che non sarebbe sopravvissuto al di fuori del suo mondo, negli schemi di una vita che non era e non poteva essere la sua.