Il salotto in penombra, la ragazza si adagia sul divano. Le piaceva prendersi un po’ di riposo circondata dalle cose che amava, ad occhi chiusi percepiva i rumori provenienti dall’esterno ma non era infastidita anzi le davano la sensazione di essersi creata un mondo ovattato un rifugio sicuro……
Un’immagine mentale le affiora improvvisa, come una nebbia che si dissolve piano piano e rivela una scena.
Una radura in una folta boscaglia, un falò acceso di un bel rosso fiammante, zingari intorno, schiamazzanti, ubriachi, sporchi , dal volto truce…. Io… sono là … bambino di 8/10 anni, legato con corde alla ruota del carro; li guardo con apprensione, non capisco cosa vogliono da me, mi guardano e complottano, ho paura, mi faccio piccino piccino, mi nascondo, non voglio vederli.
I miei vestiti decorosi sono strappati e sporchi, mi mancano i calzari….
Otto ore dopo… il carro viaggia su una strada sterrata, poco più di un sentiero, traballando ad ogni pietra che incontra; seduto con gambe penzoloni su delle coperte cenciose con le mani legate non vedo via d’uscita , divento sempre più triste, all’improvviso mi accorgo che ad ogni sobbalzo delle ruote la corda che lega le mie mani si allenta, gli zingari sonnecchiano e mi ignorano pensandomi ormai loro preda, un barlume di speranza si accende, devo approfittare di questa opportunità, col cuore in gola, contorcendomi i polsi riesco ad allentare quanto basta per liberare le mani, controllo che nessuno mi stia guardando e lentamente, quasi senza respiro, mi lascio scivolare dal carro, il rumore delle ruote confonde ogni altro, non c’è tempo da perdere! Rotolando su me stesso cado in un fosso adiacente la strada, la caduta è attutita dall’erba, nondimeno un dolore lancinante al braccio mi immobilizza soffocando un grido di dolore.
Il tempo trascorre, non oso muovermi per paura che ritornino a cercarmi, ho freddo, l’incertezza mi angoscia , che fare ?…
Sento in lontananza un calpestio leggero, un rumore di ruote comedi carrozza, azzardo capolino dal fosso e vedo, speranzoso, avvicinarsi lentamente una piccola carrozza nera; sul predellino una persona scruta il sentiero - lo conosco! - un mio grido di richiamo lo fa avvicinare, mi solleva e mi adagia sul sedile che per quanto di legno duro e spazio angusto, trovo confortevole.
Il trotto del cavallo allenta la mia ansia, il dolore al braccio è sopportabile più dell’angoscia.
Ci avviciniamo, le mura contornano un grande cortile in terra battuta, animali razzolano indifferenti, la casa coloniale, soleggiata e sobria si erge nel mezzo, una donna vestita di nero, sulla soglia, scende i due gradini di granito, le braccia levate al cielo concitata.. ci corre incontro, un nodo alla gola mi prende, sento quanto le voglio bene, mamma !
Mi depositano su un canapè, tutti indaffarati a me intorno, sono ferito, sporco, lacero … sono a casa… sono al sicuro.
Una data… una data… 1410.”
La scena svanisce all’improvviso, la ragazza apre gli occhi, lo sguardo attonito percorre la stanza, il ciglio bagnato, il petto ansimante…..
Non aveva dormito, non aveva sognato, aveva forse vissuto uno stralcio di una vita precedente???
Il suo viso si illumina, ne è certa! Ora capisce perché, da piccola, aveva paura degli zingari che accampavano vicino al paese e soprattutto il perché di quell’inspiegabile dolore al braccio che l’accompagna anche in questa vita.