Hai fame? E non ti puoi permettere il filetto, che è dei nobili o dei "pirocchi arrinisciuti", i pidocchi che sono riusciti a cambiare vita ma rimangono sempre tali nonostante le ricchezze, cioè di quelli che hanno fatto i soldi fregando il prossimo per sete di ricchezza e che si sentono più importanti e potenti dei baroni blasonati? Niente di più facile da trovare con pochi spiccioli, un antico abbaglio di un panino con la carne, che utilizza la “saimi” per essere cucinata: u pani cà meusa.
Una pagnottella, graziosa e saporita, senza pretese ma energetica, ripiena di polmone, di “scannaruzzatu”, cioè della trachea ridotta a pezzettini, e di una fettina di milza, viene offerta da un omino magro magro, con un grembiule bianco ed il berretto in testa, il vastiddaru o meglio "ù caciuttaru" ai propri avventori: “schietta o maritata”.
Due opzioni, che riprendono la condizione della donna, che può essere "schietta"'senza fronzoli o artifici surrogati, semplice semplice, come "mamma l'ha fatta", o "maritata", appesantita dalla vita e quindi più complessa con ingredienti che la insaporiscono ancora di più, formaggio a scaglie o ricotta.
Altri dicono che, senza alcuna complicazione, la schietta è la vastedda senza la ricotta, la maritata è con la ricotta, poiché è bianca come l’abito nuziale. Un'interpretazione più coniugale è quella che indica la schietta la "vastedda" di sola ricotta impregnata nella saimi, maritata quella con la carne (milza) e con la ricotta.
Comunque se cammini per le vie dei mercati popolari, tra la frenesia delle abbannìate e i colori della merce esposta sotto il sole, e c'è qualche venditore in grembiule bianco che vi propone " schietta o maritata?" non preoccupatevi! Non vi sta proponendo niente di male o di irregolare alla morale ma una morbida focaccia, ricca di folklore popolare arabo siciliano, piena di milza e polmone, resi morbidi dalla "saimi" e dallo "scannaruzzatu", da leccarsi i baffi.
E se non ti puoi permettere la carne ogni giorno, (a parte che fa male mangiarla sempre e non si apprezza il gusto!) riesci per un attimo ad essere un barone, un principe, che si gusta il suo panino schietto o maritato non nella tavola baronale illuminata dai candelabri otto-novecenteschi, ma nel tavolino con la tovaglia a quadrettoni della "putìa" di gastronomia palermitana.