Alla fine del Settecento in Sicilia, nella terra degli agrumi e in particolare dei limoni, nella "conca d'oro" di zagara e di profumi cosmetici e medicinali, fra i primi produttori agrumicoli arrivò notizia dal continente che per combattere e prevenire lo scorbuto, malattia mortale, bisognava assumere vitamina C presente nei frutti gialli ed arancioni degli agrumi.
Fu così che, grazie al contesto sociale ed economico di quel periodo storico debole nella gestione, si favorirono fenomeni di tipo violento ed estorsivo fra i verdi agrumeti e i detentori del business in crescita. Le campagne siciliane e meridionali diventarono terreno fertile per questi atteggiamenti di sopraffazione e violenza . Qui la presenza della mafia era di circa il 54% in più nelle zone coltivate e nelle periferie. A poco a poco, quando le sperimentazioni scientifiche accertano sempre più che la vitamina C era fondamentale per contrastare lo scorbùto, il business fu attivato.
Intanto la popolazione si ammalava molto frequentemente per carenza vitaminica e la malattia si manifestava soprattutto in mare, dentro quelle navi dove era difficile reperire e conservare cibo che contenesse questa soluzione vitaminica.
Fu James Lind, medico navale, a individuare la vitamina C negli agrumi. Ma, come spesso accade, la scoperta e le prescrizioni del medico furono ignorate per circa quarant'anni. Solo nell’Ottocento finalmente s‘intuì che il succo di limone poteva prevenire e curare lo scorbùto: la scoperta fece impennare la domanda di agrumi e ne fece aumentare anche il prezzo come nella normale logica capitalista.
Secondo una recente ricerca economica condotta da tre studiosi( fra cui due italiani, Arcangelo Dimico della Queen’s University di Belfast e Alessia Isopi della University of Manchester) si è scoperta una forte associazione tra la crescita esponenziale della domanda di limoni a partire dal 1800 innescata dalle scoperte mediche di Lind, e la nascita e il consolidamento delle associazioni mafiose.
Siamo all’inizio della nascita del Regno d’Italia: il re e i suoi uomini non sono però ancora in grado di arrivare economicamente e amministrativamente nell’entroterra. Intanto la Sicilia diventava molto produttiva nel mercato dei limoni. Il frutto giallo sempre più apprezzato, importante per la produzione di essenze profumate, veniva riconosciuto improvvisamente come un bene primario, necessario a tutto il mondo. È qui che la mafia, come sempre, intuisce il business e ne approfitta, insinuandosi come una piovra negli strati commerciali e finanziari della società di allora.
Tra il 1795 e il 1814 in Inghilterra arrivarono oltre sette milioni di litri di succo di limone, la maggior parte siciliano. Nell’isola gli ettari coltivati ad agrumi passarono dai 7.695 del 1853 ai 26.840 del 1880. Sono oltre quattrocentomila le casse di limoni gialli che lasciavano l’isola nel 1834, a metà del secolo furono 750mila.
Nella sola città di New York arrivavano ogni anno 2,5 milioni di casse di agrumi, la maggior parte da Palermo. Il limone diventò, così, prezioso come l’oro. Ad inizio del ‘900 il nostro paese esportava oltre duecentomila tonnellate di limoni, per un valore di circa 3,5 milioni dell’epoca. La giornata di un raccoglitore, pagata 1,5 lire, rendeva circa 85 lire in prodotto messo sul mercato.
È con l’unità d’Italia che le cose cambiarono: molti campieri, prima impiegati come sorta di polizia privata, si trovarono senza lavoro. Chi di loro non venne assorbito dalle forze di polizia iniziò a intimidire e a minacciare i proprietari dei fondi, offrendo protezione e prevenendo furti, danneggiamenti e incendi.
Dallo studio dei ricercatori emerge in sintesi l'impotenza di avere istituzioni in grado di regolare e proteggere adeguatamente le opportunità di un terreno. Se all"epoca ci fossero state istituzioni in grado di gestire lo sviluppo del mercato dei limoni la storia della Sicilia e del Meridione sarebbe potuta essere diversa. La mafia era invece cresciuta in modo esponenziale, sfruttando la ricchezza generata dai limoni e, in seguito, cambiando di volta in volta l’attività da cui trarre profitto.
I fratelli Canicattini avevano individuato un agrumeto che li avrebbe resi ricchi, senza sprecare energie se non quelle necessarie alle intimidazioni al proprietario, un nobile decaduto, il barone Migiocotuttoalpoker, principe del Nulla che, tralaltro, aveva fatto uno sgarro all'organizzazione: aveva licenziato i campieri perché, diceva, non poteva mantenerli più.
Al tempo delle raccolte di limoni durante l'anno era lui stesso che passava con il suo calesse per controllare i contadini raccoglitori che non battessero la fiacca dietro le sue spalle. I fratelli cominciarono con i convincimenti ed un giorno fecero trovare i cavalli scappati dal recinto, le cassette bruciate fin quando il proprietario dell'agrumeto dovette reintegrare i Canicattini e dare una parte del raccolto come ricompensa alla protezione promessa.
Fu così che i sabotaggi finirono e, a poco a poco, in due anni come "u surciu ca spirtusa la nuci" il nobile fu costretto a cedere il terreno ai fratelli sorveglianti per pochi spiccioli, mentre essi avevano incrementato una ditta di export con interessi nel mercato americano che li fece arricchire sempre più e li fece diventare i signori del paese.
Uno di essi fu pure eletto sindaco e s'intrufolò negli interessi statali, orientando il profitto non verso lo stato, ma verso l'organizzazione criminale di cui erano i responsabili locali. Il nobile morì di crepacuore e i suoi limoni divennero fonte di guadagno di terzi che investirono in altri settori economico - finanziari.
Fu anche il settore farmaceutico a pubblicizzare il consumo del limone come antidoto allo scorbuto e i fratelli Canicattini diventarono sempre più ricchi perché erano riusciti a strappare, con prepotenza e con le minacce, altri terreni per pochi soldi ad altri proprietari e alle loro famiglie, al fine di eliminare ogni forma concorrenziale nel business della coltivazione e della commercializzazione del limone siculo-palermitano.