Lasciai la Terra nel gennaio del 2999, in un’era in cui tutto era diventato glaciale, soprattutto il rapporto fra gli uomini.
Ero ormai abituato ai viaggi intergalattici che, grazie alle nuove tecnologie, erano divenuti relativamente brevi. Così, dopo aver fatto pratica con alcuni voli radenti, avevo deciso di imprimere alla mia navicella (di seconda mano, lo confesso) una rotta verso nuovi pianeti.
La scelta era stata minuziosa, tramite lo studio di un catalogo che le agenzie di viaggi spaziali distribuivano gratis e che avevo consultato per una settimana intera.
Su Marte, nonostante con un’apposita tuta ergonomica di recente invenzione si fosse ormai consolidata la vita, continuava ad esserci una temperatura proibitiva per chi soffre come me di reumatismi. Troppo freddo e sinceramente non avevo neppure voglia di rimanere agghindato tutto il tempo con uno scafandro pesante che si poteva togliere soltanto all’interno di un hangar a tenuta stagna (e temperatura gradevole) costruito allo scopo specifico.
Lì si viveva troppo a stretto contatto gli uni con gli altri, sebbene le voci che giungevano dessero speranze anche ai single più incalliti, giusto come il sottoscritto: gli uomini disposti a vivere in quelle condizioni estreme erano ovviamente pochi e ancora meno erano le donne, per cui trovare una compagna risultava facile. Inoltre, era risaputo che le signore che avevano scelto di raggiungere Marte erano tutte delle astronaute addestrate, necessariamente giovani e di sana e robusta costituzione. Una goduria. Per un attimo l’idea mi aveva allettato, ma che poteva fare un “vecchietto” come me su Marte? A parte accoppiarsi, è evidente.
Avevo già cinquant’anni suonati, un tempo considerato al limite per chi deve decidere su quale Pianeta andare a stabilirsi. La mia permanenza sulla Terra era durata anche troppo, finché c’era stato Hopper.
Mentre tutti scappavano verso altri orizzonti, io ero rimasto per un cane. Che avevo chiamato come un pittore statunitense del Novecento, bravo a cristallizzare l’alienazione di volti e luoghi, ma altrettanto abile a dare un tocco personale ai tetti e agli elementi architettonici, che nella sua versione apparivano sempre un po’ “stondati”. E così era stato il mio cane: sbilenco e rotondo, ma allo stesso tempo geniale nel suo modo di porsi.
Finché c’era stato lui, a me non era importato che gli uomini si occupassero sempre meno della Terra.
Che l’inquinamento e le glaciazioni avrebbero rovinato tutto era chiaro dalla notte dei tempi. Erano secoli che se ne parlava. Nell’ultimo periodo, tuttavia, ciascuno era intento ad elaborare un qualche tipo di progresso e le risorse erano state investite esclusivamente nella costruzione di navicelle spaziali potenti (non importa se altamente inquinanti) e tute idonee ad abitare ogni tipo di ambiente, anche i più ostili; oppure ancora, nel necessario per trasferirsi sopra un Pianeta qualsiasi che ruotasse (ma anche no) attorno al nostro. Soltanto sul Sole nessuno era ancora riuscito a mettere piede, ma quello è la stella madre e i motivi sono ovvi. Inutile che ve li spieghi: il nome di Icaro vi sarà già abbastanza familiare.
Certo, per un anziano come me, la più quotata era la Luna. Come se l’unico satellite della Terra fosse divenuto d’un tratto una sorta di casa di cura, dove le persone non più giovanissime potessero andare a giocare a carte e a fraternizzare fra loro. Si sapeva anche di pendolari che avevano potenziato la propria navicella a tal punto da riuscire a fare il tragitto Terra-Luna due o tre volte al mese. Spese di carburante permettendo, s’intende. Troppo commerciale per me, che ero un’anima inquieta.
E così, dopo la morte di Hopper, ho preso e sono partito. A dire il vero mi avevano assicurato che avrei potuto portare anche lui, ma troppe vicende tristi si sentivano a proposito di chi decideva di condurre con sé gli animali domestici nello spazio. Memore di Laika, la prima cagnetta ad essere stata spedita in orbita, non l’ho fatto. La fine indegna della poveretta ce la ricordiamo tutti, quindi è meglio non rivangare.
E così quando Hopper ha esalato l’ultimo respiro (c’era talmente freddo che avrei anche potuto fare a meno di seppellirlo) ho messo in moto la mia navicella che attendeva paziente in garage ormai da più di tre anni e me ne sono andato. Il mio cane aveva avuto una vita lunga e felice, non avevo rimpianti.
Direzione? L’importante era evitare Venere, perché essendo il pianeta più vicino alla Terra, era sovrappopolato. Per intenderci, un po’ come a Riccione in agosto, ai tempi d’oro. La maggior parte della gente è pigra e vuole fermarsi presto, come dare loro torto? Lo stesso per Mercurio, troppo caldo, da evitare. E per Plutone: grande uno sputo. Giove, buon’anima, in quanto sistema gassoso sprigiona da sempre troppa energia e le tute ignifughe appositamente create sono tuttora in fase di sperimentazione, anche se nessuno lo vuole ammettere. E io, a fare da cavia, non ci ho mai tenuto. Su Saturno, troppo vento, mentre su Urano, per quanto si dia regolarmente aria agli ambienti, odora sempre tutto di metano e a me infastidisce. La maschera antigas, poi, dicono sia oltremodo scomoda.
Bene allora, cosa rimane? La mia scelta avrebbe dovuto cadere su Nettuno. Nove sono i pianeti del Sistema Solare, mica si scappa. Ma ormai lo avrete capito che sono esigente. Metano anche qui su Nettuno e inoltre è pure più piccolo di Urano. Mica sono scemo! Cattivo odore per stare stipati come sardine! Lo lascio agli uomini più accomodanti.
Perché consultando la guida che vi dicevo, quella distribuita gratis dalle agenzie di viaggi spaziali, ho appreso della possibilità di chiedere un visto su Alfa Centauri in via del tutto sperimentale. Lo so che è una stella! Ma con le nuove tecnologie vi assicuro che è possibile.
Per farvela breve, vivo lì ormai da un anno ed è fantastico. Siamo in pochi e ci siamo costruiti delle stutture di tutto rispetto. Ognuno ha i suoi spazi: non è mica una comunità! Ciascuno a casa propria, com’è giusto che sia. A proposito, avrei un mezzo tiro con una tipa che si chiama Assia. Per lei sono aitante e soprattutto divertente. Ha cinquantadue anni e nessuno capisce esattamente da dove venga, ma che importa? Fatemi gli auguri piuttosto. Presto vi farò sapere com’è andata a finire.
Dallo Spazio per ora è tutto, il vostro Spock.
P.S. È solo un caso di omonimia, non vi mettete in testa strane idee.