Nonostante il sole splendesse alto nel cielo non riuscivo a vederne la bellezza, mi sentivo profondamente triste con un enorme peso sul cuore.
Dalla terrazza del Buenos Aires Café non riuscivo a godere appieno di quel spettacolo così divino, tutto mi sembrava così effimero.
Don Eduardo mi stava osservando senza dire niente, fumava con tranquillità la sua pipa d’argilla spargendo nell’aria un delicato profumo di tabacco vanigliato. Ero seduto al mio tavolo con un bicchiere di tè ghiacciato e i miei quaderni pieni di appunti, sparsi un po’ ovunque; sentivo su di me gli occhi di Don Eduardo, sapeva che non stavo bene, che avevo qualcosa che mi sconvolgeva l’anima e lui lo sentiva, a lui non sfugge mai niente. Se ne stava lì, a fare grandi cerchi di fumo in attesa che facessi il primo passo.
Bevvi un altro sorso del mio tè poi mi accesi una sigaretta, aspirai profondamente e espirai il fumo dal lato destro della bocca, sorseggiai ancora un po’ di tè e infine volsi il mio sguardo verso Don Eduardo. Era il segnale che aspettava. Si avvicinò con un dolce sorriso paterno, appoggiò una mano sulla mia spalla sinistra mentre si sedeva.
‹‹¡Oye, Juancito! ¿Que tal?››
‹‹Insomma, non benissimo›› risposi con un accenno di sorriso.
‹‹Ti vedo giù di tono, in più è da più di un’ora che stai sulla stessa pagina… ¿Que pasa, hermano?›› s’informo l’uomo.
Portai la sigaretta alle labbra, diedi un’ultima aspirata e poi la spensi nel posacenere. Guardai Don Eduardo che si stava riaccendendo la pipa, si mise comodo pronto ad ascoltarmi.
Spiegai al mio amico che mi trovavo in un periodo di inquietudine, stavo combattendo contro i miei demoni; nella mia testa vorticavano un miscuglio di vari quesiti, alcuni anche piuttosto stupidi, per non parlare di quello che è la mia passione e cioè, scrivere, inventare storie. Mi chiedevo che senso avesse prendere in mano una penna e raccontare storie vere o presunte vere e il più delle volte inventate per qualche rivista mal pagata. A chi sarebbero potute interessare? Infine, a completare l’opera, le notizie che vengono dal mondo esterno minavano la mia precaria tranquillità. Sembrava che la mia testa fosse un ribollire continuo di tutti i malesseri del mondo.
È in momenti come questo che mi sento come un estraneo, un alieno caduto col suo disco volante nel bel mezzo del nulla; questo mondo non mi apparteneva, ovunque posassi occhio non mi riconoscevo in ciò che vedevo e sentivo in cuor mio, la mia casa era altrove.
Santiago Montrés