Che vergogna! Sono un edificio storico, palazzo Sammartino, un monumentale caseggiato sito in piazza Marina, all'inizio di via Lungarini, oggi di proprietà del Comune di Palermo, di quella Palermo ricca di monumenti, costruiti da ogni popolo che nel tempo l'ha conquista e sottomessa.
Le mie stanze, una volta nobili dimore, sono chiuse da almeno dieci anni con lucchetti inviolabili e io sono soffocato tra polvere e sporcizia. Le mie porte, costruite all'origine da perfetti professionisti del legno e montate con artigianale perizia, sono corrose dalle termiti e dal tempo, le mie finestre con le persiane, le scalette intarsiate e rifinite da mani esperte e perfezionate da mani sopraffine, sono corrose dalle intemperie degli anni trascorsi senza manutenzioni. Anche i balconi, aperture che davano verso un paesaggio incantevole, sono rotti, le grate arrugginite e le pareti vandalizzate da scritte mortificanti, quelle pareti che allora erano state pure rivestite da carta da parati preziosa e raffinata, oggi piangono dalle loro crepe.
L'ampiezza del mio perimetro e la sontuosa monumentalità aveva convinto gli amministratori del secolo scorso di suddividermi in 20 appartamenti, che sono stati presto occupati abusivamente tra costanti pericoli di crollo e una possibile emergenza sanitaria, data la gran quantità di rifiuti che in molti getta(va)no ai miei piedi. Indi, alcuni amministratori dell'edilizia comunale decisero di murarmi gli ingressi. Fu come se mi avessero accecato. Non vedevo più, non vedevo più!
Avevano occluso i miei occhi, avevano violentato il mio diritto a vivere. I miei pori, i miei polmoni non respiravano più.
In seguito, forse per merito di qualche amministratore impietositosi della mia condizione, fui inserito nella seconda categoria del Piano triennale sulle opere pubbliche 2013-2015, però si dovevano reperire le risorse finanziarie per farmi tornare alla bellezza di un tempo. Ma nulla avvenne di positivo e finii nell'ennesima asta, anch'essa rimasta deserta.
Nessuno si interessò più di me. E intanto sono stato sommerso da ogni specie di immondizia e continuano a farlo, incuranti della mia disperazione. Mi sento una discarica e nessuno fa niente perché pensano che un palazzo non possa avere un'anima. Eppure le mie sofferenze sono immense, sono ferite che non si rimarginano ogni volta c'è un crollo del pavimento o un muro rilascia il suo ammuffito intonaco.
Eppure nel Settecento, nell'Ottocento tanti nobili mi avevano occupato rendendomi felice della loro presenza. Tante donne si erano affacciate dai miei balconi e avevano goduto dell'alesaggio palermitano. Tutto dimenticato. Come se la memoria non mi appartenesse ed io non appartenessi alla storia di questa città.
Sarebbe stato meglio se, in una notte buia e tempestosa, mi avessero demolito. Forse nessuno si sarebbe accorto della mia scomparsa e al posto della mia storia avrebbero innalzato un edificio per dare alloggio a chi ancora non ce l'ha e aspetta da secoli una sistemazione. Mi sarei sacrificato con sincerità invece di rimanere come un peso d'immondizie dentro una città che aspetta e combatte per un continuo cambiamento in tutti i settori anche in quello della salvaguardia della sua storia e dei suoi edifici, testimonianze della vita di un tempo che fu.