Il paese dei signorucci.
Nel paese dei signorucci, erano tutti un po’ signori. A nessuno mancava niente, ma nessuno mancava di lamentarsi di qualche mancanza: “Sa – diceva una signoruccia a una sua conoscente – oggi non ho potuto farmi la manicure per tante di quelle cose che ho da fare”.
“Figurati – rispondeva l’amica, stamane per la fretta ho preso solo il cappuccino senza brioche al bar”.
“Eh si – si approvavano a vicenda – ci sono tanti di quei problemi”.
Nel paese dei singorucci avevano tutti una villetta, con l’antenna parabolica e la fontana nel giardino, il meno abbiente se ne andava in giro con la stessa automobile da più di 2 anni. Tutti erano vestiti bene e quando pioveva stendevano tappeti rossi per terra e delle tettoie per non bagnarsi. Ma siccome nessuno voleva stendere i tappeti e mettere le tettoie avevano inventato un macchinario che lo faceva in automatico.
Un giorno al paese dei singorucci si presentò, non si sa come, un tipo stravagante. Era un essere di fattezze umane, un po’ mingherlino, con la pelle un po’ scura, spettinato, aveva pantaloni sporchi e una cosa stracciata sul petto.
“Che cos’è?!” Gridò scandalizzata una signoruccia seduta al caffè.
“Sembra una persona”; disse qualcun altro.
“Una persona?” disse di nuovo la signoruccia. Si avvicinò un’altra con fare di chi la sa lunga: “Si, è un povero.”
“Eah!?” Esclamò in bisbiglio la signora come se stessero parlando di genitali: “Un povero? E che cos’è?”
Nessuno in quel paese infatti ne aveva mai visto uno.
“E’ una persona che non ha niente.”
“Come non ha niente?”
“Non ha la casa, non ha lavoro, non ha niente.”
“Ah sì? E come vive?”
“Si arrangia.”
“E deve farlo qui? Che ci è venuto a fare qui? Come c’è arrivato?”
Nessuno dei signorucci pensava che avrebbe potuto chiedere direttamente al povero che cosa voleva. Tutti se ne stavano a distanza. Il povero si mise a sedere nella piazza. Per terra.
Si instituì quindi un comitato per decidere cosa fare del povero. Si riunirono in una grande sala piena di quadri dell’800.
“Non possiamo tenerlo qui. È un’indecenza!”.
“Ma magari ha bisogno di qualcosa”; azzardò uno dei signorucci più filantropi.
“E ce la chiede a noi? Con tutto quello che abbiamo da fare?”
“Mandiamolo via.”
“E se non se ne va? Magari è pericoloso. Bisognerà dirlo alla polizia.”
“Non credo che sia pericoloso. In fondo è una persona.”
“Tzè! Una persona. Ma avete visto come è vestito? E come puzza! Scommetto che da dove viene sono tutti così e scommetto che non sanno nemmeno parlare, forse mangiano animali morti!”
“Ma forse è vestito così per qualche disavventura”.
“Ma vaaa. Ma lo hai visto? Non c’è da fidarsi! E poi non possiamo tenerlo lì in piazza, è indecoroso, dà fastidio a vedersi”.
“Eh si, eh si, dobbiamo mandarlo via.”
“O almeno nasconderlo. Ci sono delle catapecchie del bosco, mandiamolo lì, tanto uno così di cosa ha bisogno?”
Così il giorno dopo comparve la polizia, armata di tutto punto, si avvicinò al tipo strano e lo intimò di dire chi fosse, da dove venisse e cosa volesse.
Quello parlava male la lingua ma capii e cercò di farsi capire, in effetti sembrava ascoltare con le orecchie e parlare con la bocca come un normale essere umano e sapeva anche aiutarsi coi gesti.
“Nome mio è Ninù, vengo dal paese di altromondo, sto cercando qualche aiuto per vivere meglio perché in altromondo c’è capo cattivo che non ci fa coltivare terreno…”
“Bene, capito tutto.”
La polizia riferì al comitato, il comitato allora decise di dargli del cibo, dei vestiti, e una capanna fuori dal paese.
La polizia glieli consegnò e poi lo accompagnò alla capanna.
“Ecco, questo dovrebbe bastarti per vivere meglio, non farti più vedere in città però, che disturbi la quiete pubblica, arrangiati che tanto ci sei abituato.”
La polizia lo abbandonò lì. Il dovere era stato adempiuto. Nessuno lo vide più.
Ma ogni tanto si spettegolezzava che quel poveraccio comparisse a dare fastidio per chiedere aiuto, o forse per rubare, anziché arrangiarsi o andarsene da dove era venuto come avrebbe dovuto fare.
Nessuno continuava credere di poter parlare con lui.