Sola, ad aspettare
una notizia che non arriva,
le ore come dissolvenze perpetue
si fanno insostenibili
come silenzi senza respiro.
Profuga, cosí dicono al telegiornale.
Non avevo una vita prima
e non l'ho ora
che sono qui, disperata,
a piantare le mie radici
in questa nuova terra, ancora
una volta, l'ennesima.
Occhi, occhi, infiniti occhi m'osservano,
prima in quel mare nero come la notte,
come la mia pelle.
A stento si respirava, ammassati
come pecore pronte al macello.
Occhi, occhi, ancora occhi dietro le divise
impeccabili, a scrutami lanima.
Stringo con forza al petto
i germogli del mio cuore che piangono.
Uffici, controlli, chiavi che aprono porte
che sbattono con un tonfo cupo,
senza fiato.
Voci estranee si mescolano a quella
simile alla mia, poi un'altra che
non comprendo. Eravamo in tanti
su quella motonave.
Ticchettare di macchina da scrivere,
mani sottili, come artigli rapaci scrivono il destino
di poveri diavoli come me.
Apparati terribili di una macchina
che non conosco.
L'attesta stremante.
Io amo la mia terra.
ma la mia terra mi costringe all'esilio.
Stipata su quella zattera in cerca
di una vita migliore, un posto sereno
dove curare i miei germogli.
Ero felice di andar via, ora,
non ne sono pi sicura. Forse,
mi rimanderanno indietro,
non lo so, non lo so,
Per ora.
Aspetto.
Santiago Montrés, da Reportage 2011