Non poteva passare inosservata.
A quell’ora del mattino, sulla prima corsa del metrò, in mezzo ai volti assonnati, lei si notava.
Si notava per i tacchi alti e le calze velate, per il rigoroso tailleur grigio, per la camicetta candida e per il trolley color argento che teneva accanto.
Anche Lorenzo la notò e la osservò con attenzione, quasi con insistenza.
E notò il piccolo lembo di pizzo nero che faceva capolino lì, dove i bottoni della camicetta non erano più allacciati.
La notò e le si mise accanto con finta indifferenza.
Le fermate si susseguivano noiosamente nel rumoroso silenzio della corsa del mattino.
“Dai Lorenzo, prepariamoci, è la prossima…..”
La sua voce dolce e decisa lo colpì come una sciabolata.
Il suo nome, inaspettatamente sulle labbra di lei, lo spaventò.
Chi era? Coma poteva conoscere il suo nome? Perché quell’invito così esplicito, così normale?
I pensieri si rincorrevano nella mente senza che lui potesse metterli in ordine, senza che potesse abbozzare una risposta, una reazione.
Il treno rallentò, lei si alzò mostrando tutta l’armonia del suo corpo e lo guardò.
Lui, come un automa, la seguì.
“Oh ma che cavaliere! Potresti almeno portarmi la valigia, non è un grosso peso!”.
Gli passò il manico del trolley e si mise sottobraccio, stringendosi a lui.
Lui, in silenzio, lasciò fare.
Poteva respingerla, poteva chiederle spiegazioni, poteva urlare.
Ma non lo fece, continuò a camminare stretto a lei, trascinando la sua valigia.
Sbucarono all’aperto in una piazza ancora buia e vuota, Lorenzo non aveva ancora detto una parola, le labbra incollate, la testa frastornata.
“Ehi, ma come siamo neri oggi, non hai detto una parola! Non sarai mica geloso del Bertelli? Tranquillo, tranquillo, non è il mio tipo e poi con tutto quello che dobbiamo fare non ci sarebbe il tempo……….”.
E così dicendo rise e in quella risata i suoi occhi si illuminarono.
“Ok non vuoi parlare, ti lascio svegliare piano piano, ma cerca di essere puntuale questo pomeriggio, alle cinque qui, se no rischio di perdere il treno”.
Si mise leggermente in punta di piedi e lo baciò.
Lo baciò sulla guancia, quasi all’angolo della bocca, poi prese il trolley e si allontanò con passo tranquillo.
Lorenzo era fermo, immobile, una statua viva.
Chi era lei? Cosa voleva? Di quale ricatto stava diventando la vittima?
Si incamminò verso l’ufficio mentre nella testa scorreva il film della sua vita recente: incontri, luoghi, persone.
Cosa aveva fatto nell’ultimo mese? E a casa, cos’era successo a casa nell’ultimo mese?
Era forse lo scherzo di un amico?
Lei era molto carina, era una bella donna, elegante, attraente……...
Sentiva ancora il suo corpo stringersi a lui, sentiva le sue labbra dolcissime sulla sua guancia….
Arrivò al vecchio portone come spinto da una mano invisibile, salì, entrò nell’ufficio.
“Ciao Lorenzo”
“Ma che aria! Già ti girano di prima mattina?”
Lui non rispose e tirò dritto fino alla sua stanza, chiuse la porta e si sedette alla scrivania.
E il nome? Non sapeva nemmeno il nome.
Lei l’aveva chiamato “Lorenzo………” risentiva il suono della sua voce, il suo nome pronunciato così, con leggerezza, con affetto, quasi con amore.
Ma che stava pensando? Cosa gli stava capitando?
La prima pazza incontrata alla sei del mattino sul metrò, che lo chiama per nome e lui che fa?
La segue, le porta la valigia, si lascia stringere, si lascia baciare………si innamora.
Lui, rigoroso ed integerrimo, uomo sposato da trent’anni, padre di famiglia, dirigente di successo, si lascia trascinare dalla prima pazza che passa per strada.
Eppure l’aveva chiamato per nome, quel nome aveva infranto ogni barriera, ogni scrupolo, ogni richiamo della coscienza.
Ma allora basta così poco?
Tutta una vita, principi, regole, scelte difficili, responsabilità, discorsi, baci abbracci e poi………
”Dai Lorenzo, prepariamoci, è la prossima” e tutto svanisce, tutto si cancella, tutto si dimentica…….
Un tradimento? Si stava compiendo un tradimento? Chi stava tradendo?
In fondo lui non aveva fatto nulla, non aveva cercato nessuno, non aveva preso iniziative, non “ci aveva provato”………
Chi era il “traditore”? E chi il “tradito”?
Alzò lo sguardo, l’orologio incastonato nel frontone del palazzo che faceva da corona alla piazza segnava le cinque meno dieci.
La gente gli passava accanto sfiorandolo indifferente.
Gente, gente, gente, un susseguirsi di volti, un carosello di vite, come una giostra impazzita.
Aspettava, l’aspettava quasi impaziente.
Si sentì stringere, si sentì rubato dalla sua realtà.
“Eccolo il mio cavaliere, bravo, Vedo che sei stato puntuale”.
Gli passo il trolley e si strinse a lui.
“Giornata noiosissima, tutto il tempo a preparare carte per gli incontri di domani, fogli, fogli, fogli.
La valigia è diventata pesantissima, meno male che ci sei tu”.
Sentiva la sua mano stringere ritmicamente il suo braccio, come un massaggio e la sua voce che scendeva dalle orecchie avvolgendolo.
Chi era quella donna? Qual’era il suo nome? Perché? Perché la stava seguendo? Perché? E lui chi era veramente?
Le grandi volte della stazione riflettevano la luce giallognola delle lampade, il treno era lì, già pronto al binario.
“Ciao Lorenzone, stai tranquillo, non combinare disastri, io mi faccio sentire quando arrivo e tu comportati bene!”.
Lo circondò con le sue braccia e posò le labbra sulla sua bocca, teneramente.
Poi si staccò, gli passo lievemente la mano sulla punta del naso e lo lasciò.
L’avrebbe seguita, sarebbe fuggito con lei, per due giorni, tre giorni, tanti giorni.
Con lei, con la sua voce, con il suo sorriso, con i suoi occhi, con quelle gambe lunghe, con la sua pelle candida.
Ma non la seguì, restò immobile sul marciapiede fino a veder scomparire le due piccole luci rosse in coda al convoglio.
Poi lentamente si voltò e cominciò a camminare.
La mano nella tasca cercò il telefono:
”Luisa, ciao, si, si sto arrivando, Lo so, lo so, non sono riuscito, oggi è stato un casino, veramente un grande casino. Sto arrivando, prendo il metrò, venti minuti e sono a casa…….”