Jago ha sempre avuto paura del futuro. Ma inevitabilmente non si può decidere di fermare il tempo e sedersi come spettatore del fluire della vita. E di questo ne era stato sempre consapevole perché aveva continuato il suo percorso senza fermarsi come chi cammina sui cocci di bottiglia a piedi scalzi e affronta con fierezza il cammino. La paura è la nostra reazione all'ignoto, che col passare del tempo diventa noto e si risolve in limpidezza e trasparenza come quelle di una bolla di sapone, che si crede impalpabilmente eterna, ma si frantuma all'improvviso e finisce la sua ricerca delle modalità di salire verso l'infinito.
Jago bazzicava nei pressi della piazza principale. Diceva che il mondo stava per finire e che le donne si sarebbero abbracciate agli alberi mentre il genere maschile sarebbe stato condotto in schiavitù o ucciso. "Non ti preoccupare, bambino mio, non ti preoccupare! È solo un sogno! Devi riuscire a bucare la non luce per poter essere Principe dell'infinito", mi diceva. Ma cosa voleva dire? La sua filosofia era a volte incomprensibile e si rivelava solo apocalittica. La piazza era il suo cosmo e diceva sempre che lì sarebbe volato via un giorno, dopo aver contemplato per giorni il cielo.
Jago aveva paura del futuro ma non aveva mai avuto paura di sfidare i prepotenti. Si era sempre scontrato, prendendole e dandole a secondo della discussione o del prepotente in cui si era imbattuto. Sfidava tutti come in una cavalleria rusticana, viso a viso, senza nascondersi dietro il buio e colpire all'impensata. Le cose bisogna sbrigarle mentre il ferro è caldo, diceva.
Il tempo trascorreva e nella solitudine che aveva scelto e di cui si compiaceva, trascorreva le giornate, leggendo qualche giornale che riusciva a capitare alla stazione e che leggeva e rileggeva quasi imparandolo a memoria. L'ignoto che ogni volta diventava noto lo soddisfaceva e si sentiva realizzato. Si pensava come un difensore dei più deboli e, a volte, ricordava Don Chisciotte che combatteva contro i mulini a vento credendoli dei giganti. Un giorno, però, all'ora di punta, quando ci si recava a pranzo, sentì degli spari dentro l'agenzia n5 della banca del paese. Vide degli uomini che scappavano. Li rincorse.
In quel momento i dolori che lo attanagliavano da un po' di tempo erano scomparsi e tale era la voglia di fermare quei malviventi che non li senti più e corse a più non posso. Riuscì a fermarne uno. L'altro si era fermato e mentre arrivavano le volanti, che avevano accerchiato la zona, si sentì un colpo di pistola. Il bandito fu fermato e immobilizzato, mentre il primo rimaneva stretto dalla morsa di Jago. Lo lasciò solo quando gli agenti gli misero le manette e se lo portarono via. Ma Jago e non riuscì ad alzarsi e rimase a terra sanguinante. Il colpo di pistola lo aveva centrato al petto. Si accasciò e una pozza di sangue scivolò lungo l'asfalto. Si chiesero i soccorsi. Ma Jago non ce la fece.
Prima di spirare, si girò a vedere il cielo. Che era bello questo cielo! E guardandolo chiuse gli occhi per sempre. Jago non sopportava le prepotenze e quel giorno rimase sull'asfalto, coperto da un lenzuolo bianco.
Jago, il Robin Hood di casa nostra, Jago contro ogni prepotenza e crimine.