Ma poiché Marta non mancava certo di senso pratico, solitamente la sua rabbia si riversava in particolare su un collega solo, che diventava per quel particolare periodo la “vittima designata”.
In genere si trattava di persone che ai suoi occhi apparivano fragili, o che ricoprivano in azienda posizioni di poco rilievo e quindi facilmente attaccabili. Una volta scelta la sua vittima Marta era implacabile… e cominciava il suo lento ma costante lavoro di disgregazione, scegliendo di volta in volta tecniche diverse a seconda delle caratteristiche della “vittima”(in questo Marta aveva affinato la tecnica, dimostrando peraltro eccellenti doti nello scovare i punti deboli altrui); alcuni si sgretolavano con poco, altri resistevano stoicamente, ma quel che è certo è che la maggior parte delle vittime veniva col tempo annientata e non erano pochi quelli che alla fine avevano deciso di licenziarsi pur di non avere più niente a che fare con lei.
Inevitabili collisioni: chiunque avesse la sfortuna di incrociare la sua strada era destinato a scontrarsi con lei e a soccombere, o nel migliore dei casi a fuggire.
Marta uscì di casa di buon’ora per recarsi a lavoro: quel giorno la aspettava una riunione, proprio l’occasione giusta per fare a pezzi la nuova collega, Alessandra, che era arrivata in un ufficio da circa un mese: giovane e piena di entusiasmo, competente e capace, Alessandra era proprio il tipo di vittima designata che Marta prediligeva. Fino a quel momento, tuttavia, tutti i suoi tentativi di provocare lo scontro con battute pungenti e frecciatine non erano andati a buon fine; la ragazza si limitava a guardarla dritto negli occhi senza dire niente e quei suoi sguardi prolungati sembravano volerle dire: “con me non vincerai”.
“Oh certo che vincerò”, pensava Marta tutta stizzita, “devo solo trovare l’occasione giusta”.
E l’occasione era arrivata: la riunione.
L’avrebbe attaccata durante la riunione criticando il suo lavoro e mettendone in luce i difetti. L’avrebbe umiliata davanti a tutti i colleghi.
Sarebbe stata una gran bella soddisfazione.
E così la riunione ebbe inizio. Tanto per scaldarsi Marta iniziò a controbattere ad ogni cosa che Alessandra provava a dire. La ragazza, tuttavia, invece che innervosirsi rimaneva imperturbabile, come sempre si limitava a guardarla negli occhi con quel suo sguardo magnetico. Aspettava pazientemente che lei finisse di parlare e poi senza replicare riprendeva il discorso da dove aveva lasciato, come se lei non avesse detto niente.
Alla fine i colleghi iniziarono a ridacchiare e ogni volta che Marta prendeva la parola tutti sembravano guardarla con aria canzonatoria.
Marta iniziava a perdere la pazienza.
Avrebbe potuto lasciar perdere. Ma ormai non ci riusciva.
E allora iniziò ad alzare la voce, lanciando accuse e improperi, urlando e gesticolando: aveva ormai perso il controllo e non riusciva a fermarsi. Le venne intimato di uscire dalla stanza e di calmarsi.
Fuori di sé dalla rabbia Marta uscì sbattendo la porta e corse verso il bagno, dove entrò correndo.
Con mani tremanti si aggrappò al lavabo. Lo specchio le restituiva l’immagine di una donna pallida, scarmigliata, il volto trasfigurato dalla rabbia... ma ecco che ad un tratto l’immagine nello specchio iniziò a muoversi autonomamente.
Atterrita e sconvolta Marta fece un passo indietro, ma subito la Marta riflessa fece un balzo e uscita dallo specchio iniziò a picchiare la Marta originale. Tale era la violenza con cui la Marta dello specchio picchiava la Marta originale che quest’ultima, cercando di difendersi pensò che sarebbe morta lì in quel bagno.
La porta sì aprì e apparve Alessandra: al suo ingresso la Marta riflessa scomparve, lasciando Marta a terra, tumefatta e tremante.
E Alessandra sedette accanto a lei e la prese tra le braccia.