Tre mesi dopo
Manuela esce di casa per andare all’università; stamattina esame di sociologia. Sale sul suo scooter, indossa il casco e mentre lo fa con la coda dell’occhio vede una figura che ha un che di conosciuto. L’uomo indossa un paio di Lewis sdruciti, un giubbotto di pelle scuro e occhiali da sole scuri. È appoggiato a un albero e con la mano giocherella con qualcosa che dev’essere un portachiavi. La sta fissando.
Manuela ha una sensazione sgradevole. Chi è quell’uomo? Deve averlo già visto ma non riesce a ricordare... poi ad un tratto la verità le balena nella mente, in tutta la sua enormità. Martino! Non è possibile, non può essere lui! Eppure...
Manuela si sfila il casco e scende dallo scooter. Le tremano le gambe e ha iniziato a sudare. Come un automa si appresta ad attraversare la strada per raggiungere l’uomo. Ha paura, ma deve sapere la verità.
Anche perché se Martino è ancora vivo può significare soltanto una cosa: sua sorella le ha mentito! E perché avrebbe dovuto farlo? No, non è possibile, deve esserci un’altra spiegazione. E mentre affretta il passo per raggiungerlo, l’uomo si stacca dall’albero e se ne va. Manuela inizia a correre: “hey tu, aspetta, fermati, ti devo parlare...”.
L’uomo allunga il passo.
“Ti prego aspetta… voglio solo parlarti un attimo. Martino! Sei tu? Fermati ti prego”, urla Manuela. Ma l’uomo ormai è già lontano.
Manuela è frastornata. Mille domande le si affollano nella mente. Non riesce a capire. E il processo allora? Dicevano di aver trovato il corpo!
In preda all’agitazione Manuela sale sul suo scooter, lo deve assolutamente raggiungere. Deve assolutamente conoscere la verità, anche se ha paura, perché qualunque essa sia potrebbe essere spiacevole. Ha paura di scoprire che sua sorella le ha mentito (e perché avrebbe dovuto farlo poi?). Ma non può che essere così, Manuela è sempre stata una persona molto concreta, di certo non può credere che Martino sia tornato dall’oltretomba o stronzate simili. Ingrana la marcia e si immette nel traffico, ma nella concitazione del momento non vede arrivare una Ford C max dal senso di marcia opposto.
Tutto sembra rallentare. Manuela vede il muso dell’auto andare verso di lei, vicino, troppo vicino, ed ecco il dolore, un dolore fortissimo, lancinante, poi, il buio.
Sei mesi dopo
Emanuela non si è mai mossa dal capezzale della sorella da quel tragico giorno in cui ha avuto l’incidente.
La sua amata sorella, con cui ha condiviso così tanto, giace ora in un letto d’ospedale.in coma.
Ha sentito subito, quel giorno, che qualcosa non andava. Lei era ancora a casa quando è successo, stava facendo colazione quando ad un tratto ha sentito una sensazione di angoscia salirle dallo stomaco. La tazza è scivolata via dalle sue mani andando a finire a terra frantumandosi in mille pezzi.
Emanuela ha iniziato a correre a perdifiato. Ha sceso le scale e, come impazzita, è uscita dal portone correndo. Poco oltre il cancello del cortile, come già sentiva che sarebbe stato, ha visto. Ha visto quello che già in cuor suo sapeva bene.
Poi i soccorsi, le lacrime, l’ospedale, e, ancora, lacrime.
Quella stanza d’ospedale, ormai diventata così familiare. L’odore del disinfettante, i passi delle infermiere nei corridoi (ormai ha imparato a riconoscerle solo dalla cadenza della loro camminata). E Manuela, la sua adorata Manuela, lì immobile.
Emanuela non riesce ancora a capire come sia potuto succedere. Eppure sua sorella è sempre stata una persona molto prudente.
E poi c’è qualcos’altro. Dal giorno successivo all’incidente Manuela ha iniziato a ricevere omaggi floreali di tutti i tipi, peluches, lettere. Fin qui nulla di strano.
La cosa strana è che tra quegli omaggi ogni giorno ne arriva anche uno particolare. Una rosa blu. Senza biglietto, senza nulla che possa far capire chi l’abbia mandata. Solo una rosa blu. Una per ogni giorno che Emanuela è stata li. Ha cercato di carpire informazioni al garzone che le consegnava, ma il ragazzo non ha saputo dirle niente
Quel giorno tuttavia, come i precedenti la rosa è arrivata, puntuale.
Ma questa volta, attaccato ad essa, un biglietto.
“Incontriamoci alle diciotto al bar di fronte all’ospedale. Ti spiegherò tutto. non ci sarà bisogno di segni di riconoscimento, mi riconoscerai subito. Non avere paura”.
Sono le 17.35 ed Emanuela è inquieta. Chi ha mandato le rose? Tra poco lo scoprirà; ha un po’ di paura, ma è molto curiosa.
È ora di andare. Esce dall’ospedale. Si guarda intorno ed attraversa la strada. Entra nel bar.
Seduto ad un tavolo, proprio di fronte all’ingresso... Martino.
Emanuela si porta la mano alla bocca ed ha un sussulto. Sta per girarsi e scappare ma l’uomo si alza e la raggiunge.
“Non avere paura, non sono un fantasma. Siediti con me per favore e ti spiegherò ogni cosa”.
E così la spiegazione arriva, in tutta la sua semplicità.
L’uomo seduto di fronte a lei non è Martino, ma il suo gemello, Gianni. Lui e Martino non sono mai andati d’accordo, Gianni ripete più volte che per lui suo fratello era un grandissimo stronzo. Non si vedevano da anni.
Ma quando ha saputo della sua morte, comunque, è stata dura lo stesso. Era pur sempre suo fratello. Non sa chi delle due abbia ucciso suo fratello, ma sa bene che se questo è accaduto è perché suo fratello se l’è meritato. In passato Martino aveva ricevuto diverse denunce da ragazze che aveva malmenato e stuprato, ma l’aveva sempre fatta franca.
Il giorno dell’incidente comunque Gianni era andato a cercarle perché voleva parlare con loro. Poi, quando ha visto Manuela che andava verso di lui, il coraggio è venuto meno. Ed è scappato, causando, involontariamente, l’incidente.
E così ha iniziato a mandare quelle rose. Ha scelto la rosa blu perché essa fa parte del loro stemma di famiglia. Voleva che Emanuela, e anche Manu, se mai si sarebbe svegliata, comprendessero che lui era molto dispiaciuto.
Emanuela ascolta l’uomo senza interromperlo.
Ora tutto è chiarito.
Due mesi dopo
Emanuela si alza dal letto, è tardi, deve andare in ospedale. Gianni è ancora assopito. Lo guarda per un momento.
Che strana la vita.
Da una tragedia è nato l’amore tra lei e Gianni ed Emanuela è sicura che lui sia l’uomo della sua vita.
Vorrebbe solamente che Manu potesse condividere la sua gioia.
Si veste veloce, è già tardi, deve andare in ospedale.
E mentre si infila le scarpe il suo cellulare inizia a trillare.
“Pronto?”
Ascolta in silenzio e mentre lo fa i suoi occhi si riempiono di lacrime.
“Grazie, arrivo subito!”
Lo scuote forte per svegliarlo: “Gianni, Gianni!! Emanuela si è svegliata!!”.