La telefonata mi giunse proprio nel mezzo della più importante riunione di lavoro che avessi mai avuto. Erano presenti nella sala congressi sei rappresentanti d'altrettante nazioni.
Ascoltai le poche e crude parole che mia madre disse al telefono: "Tuo padre sta morendo, vieni."
Subito dopo il silenzio e il segnale d'occupato, aveva già riagganciato!
Rimasi lì in piedi sotto gli occhi stupiti dei miei ospiti che avevano visto sul viso l’accavallarsi d'ombre e il pallore che per poco non mi fece svenire.
Mio padre, l’unica persona al mondo capace di capirmi, che mi aveva seguito sempre e fino al posto di prestigio che ora occupavo, stava per lasciarmi.
Mia madre, come al solito, era stata laconica e fredda, le emozioni per lei non si dovevano esternare, in nessun modo, in nessun'occasione, era disdicevole, diceva lei, sempre impettita e sicura di sé.
Chiusi il telefono e, con un sospiro che riuscì a tenere dentro anche le lacrime, mi rivolsi alla platea che attendeva le mie decisioni.
- Signori! Vogliate scusare l’interruzione, una cattiva notizia non si accoglie mai con indifferenza, ma non per questo dobbiamo interrompere la nostra discussione. Se non erro eravamo al momento di tirare le somme. I fatti sono stati esposti, ora la parola passa a voi.
Rassicurati dalle mie parole, i presenti si rimisero a parlottare fittamente fra loro, mentre io cercai mentalmente di isolarmi per pensare a mio padre.
Dovevo assolutamente uscire da lì e correre a casa. Mi guardavo intorno e a stento riconoscevo quelle persone tanto importanti da decidere delle sorti di milioni d'individui con le loro manovre economiche. Io ero il collante, quello che avrebbe dovuto tenere unita quella banda di sciacalli affamati di potere. Per fortuna, nel giro di dieci minuti eravamo già alle strette di mano e ai saluti.
Usciti tutti ero già pronto con le chiavi della macchina in mano.
Arrivai a casa a tempo di record, mia madre mi accolse con una faccia da funerale e io la lasciai nella sala insieme alle signore che erano venute a far visita di circostanza.
La casa era in penombra, luci soffuse e un gran silenzio opprimente.
Uno strano odore mi colpì con violenza, un profumo dolciastro, sgradevole, mi ricordava il giorno che morì il nonno, l’odore dei fiori sparsi per la casa, tutte quelle corone avevano impregnato l’aria di un miscuglio di profumi irrespirabile.
Ma mio padre non era ancora morto, almeno speravo che non lo fosse, dovevo vederlo, volevo farmi sentire da lui, stringere la sua mano, tenergli compagnia mentre se ne andava.
Non poteva andarsene da solo, con la moglie in salotto e lui solo, nell'attesa degli angeli per portarlo via. Entrai in punta di piedi in camera e lo vidi, il viso cereo, respirava lentamente, ad occhi chiusi, rialzato sui cuscini, le mani abbandonate sul letto.
Mi avvicinai e mi sedetti su una sedia accanto a lui, gli presi una mano, era gelida. Mi chiesi perché fosse costretto a sottoporsi alla tortura di una morte lenta e dolorosa. Uno strazio inutile sia per chi deve andarsene, sia per chi assiste al disfacimento e al distacco dell’anima dal corpo.
Al contatto della mia mano aprì gli occhi e abbozzò un timido sorriso verso di me.
- Ciao figliolo, mi fa piacere vederti, spero di non averti disturbato nel tuo lavoro. Il tuo mondo non concede tregue.
- Cosa dici papà, stai tranquillo, sono qua, vicino a te, non me ne vado.
- Lo so figlio mio, lo so! Ti conosco bene e sono sicuro del tuo affetto… Tu piuttosto… Non devi dubitare del mio, anche se negli ultimi tempi non sono stato molto presente al tuo fianco… Non ho mai smesso di seguirti e di volerti bene.
Ascoltami figlio, non ho molto tempo, ancora… Ascolta la voce di chi sta per partire, per il viaggio senza ritorno, lasciando il suo respiro fra le tue mani, gli occhi mi si velano dal dolore … le ombre della notte… si avvicinano. Spero…. di avere il tempo per spiegare…. la delusione che spesso ho visto nei tuoi occhi, lo so,…non sempre sono stato all’altezza del compito di genitore. E’…. un impegno gravoso…e spesso mi sono arreso…davanti ai mulini a vento del potere. Non ho saputo reagire…. con decisione e fermezza…. alle ipocrisie della vita. Ti prego…ora che il tempo…. sta per finire, perdonami! Adesso e non domani, tieni la testa eretta e guardami negli occhi, non vale la pena piangere per ciò che è,… per ciò che deve essere.
Qui si fermò per lo sforzo e sentii il rantolo del suo petto farsi più forte, poi riprese a parlare, mentre io non avevo la forza di aprire bocca.
- Prima di andare via, però, vorrei raccontarti, delle frustrazioni…della fame sofferta in silenzio... della rassegnazione…dei miei sforzi per spingerti avanti… con le poche forze disponibili. Perdonami figlio mio… ecco che viene il buio, lo sento fra noi… avverto la presenza ostile, con le sue mani di gelo…strappa ad uno ad uno i fili della vita, ma non posso andarmene adesso… devo ancora parlarti del mio mondo… dove grandi e diverse erano le piccole cose. Vorrei parlarti di sogni perduti... di amici sinceri…del profumo del pane caldo e anche …di lievi carezze d’amore…ma, ma ormai…non c’è più tempo. Solo un ultimo consiglio... se posso... Cerca di usare nel migliore dei modi... quel meraviglioso dono… che ogni uomo possiede, la libertà dell’intelletto, che va oltre la vita, oltre la morte, oltre il ricordo… delle semplici parole.
Addio, figlio mio. Chiudimi gli occhi su questo mondo così…così...diverso!
Sorrise, mentre il respiro si fermava e giacque inerte fissando il cielo che s'intuiva dietro la finestra, lo stesso cielo dove lo avrebbero portato gli angeli inviati proprio per lui.