Alla fine Natale era arrivato, come sempre atteso con trepidazione da grandi e piccini; come ogni anno per noi tutti già dai primi di dicembre iniziava l’attesa per quei giorni pieni di magia e di incanto, spensierati e pieni di calore.
Ancora una volta tutti intorno ad un tavolo, a condividere un cenone di Natale che con gli anni era sempre meno “one”, sempre meno elaborato e ricco, perché tutti quanti sapevamo (ed ora più che mai ne eravamo consapevoli) che quello che conta non è quante portate prepari e quanto buono sia l’arrosto, ma eravamo noi e l’immenso affetto che ci univa.
Le risate, i giochi, l’attesa.
E quella pantomima ormai collaudata (io vado in bagno/ho sentito un rumore/chissà chi era/ragazzi è arrivato Babbo Natale), e gli sguardi furbetti dei bambini, che ormai la pantomima la conoscevano bene ma facevano finta di crederci ancora e noi facevamo finta di credere che loro credevano, e così via, in fondo non importava perché l’emozione, quella era la stessa di sempre.
Era l’otto dicembre e quel giorno, poiché i bambini erano agitati ed euforici, dopo aver fatto l’albero decidemmo di andare a fare un giro per le vie del centro.
Era un pomeriggio molto freddo e una nebbia spessa e lattiginosa incombeva sulla città, ovattando ogni cosa.
Scendemmo dalla macchina e iniziammo a camminare abbracciati. I bambini, naturalmente, avevano subito iniziato a correre festosi e rumoreggianti come sempre ignorando le nostre proteste erano ormai distanti. Affrettammo il passo, con quella nebbia quasi non riuscivamo più a vederli. Avevo già pronta la solita ramanzina da propinare ai tre scalmanati, quando li scorsi. Si erano fermati poco oltre e stavano parlando con una donna anziana, i visini attenti attenti. Mentre li osservavo, allungando il passo, feci in tempo a vedere che la donna metteva qualcosa in mano ad uno dei tre, per poi salutare frettolosamente ed allontanarsi. Non dovemmo fare altri passi per raggiungerli perché a quel punto avevano ripreso a correre, ma questa volta tornavano verso di noi, raggiungendoci subito.
“Ma’, quella vecchietta ci ha dato questo e ci ha detto di darlo alla nostra mamma e al nostro papà”. E così dicendo posero tra le mie mani un piccolo pacchetto che presi immediatamente.
Lo osservai senza capire. Il pacchetto era un involto, confezionato in maniera approssimativa con del cellophane. Lo aprii piena di curiosità. Un biglietto, scritto in una grafia irregolare e frettolosa, difficile da decifrare, (parti di frasi erano quasi illeggibili), ma, tra le altre cose riuscii a leggere le seguenti parole: “Questi sono per voi e per i vostri bambini. Buon Natale”. Al centro del biglietto, un rotolo di banconote, li per lì non sapevo quante fossero, ma a giudicare dalla quantità, e come avemmo modo di scoprire poco dopo, si trattava di una cifra ragguardevole.
Ci guardammo esterrefatti per un istante, poi iniziammo a guardarci intorno per cercare di vedere se la donna fosse ancora lì nei paraggi. Avevamo tante domande, ma soprattutto, ci dicemmo, bisognava assolutamente rintracciarla per restituirle il denaro, o quantomeno per ringraziarla. Confesso che eravamo anche piuttosto curiosi di sapere il perché di quello strano regalo, poiché l’anziana donna, e di questo eravamo ragionevolmente sicuri, non era una persona che noi conoscessimo. E così continuammo la nostra passeggiata, questa volta però il nostro girovagare era finalizzato a trovare l’anziana e misteriosa benefattrice. Purtroppo tuttavia, le strade erano quasi deserte. Fermammo tutti i passanti che ci capitavano a tiro e a ognuno chiedevamo se avessero visto un’anziana donna, facendo ripetere ai bambini tutto quello che riuscivano a ricordare di lei, ma fu tutto inutile. Tornammo a casa un po’ dispiaciuti per non essere riusciti a ritrovare la benefattrice misteriosa.
Tornammo a casa, per una volta tutti silenziosi, ognuno perso nei suoi pensieri.
Naturalmente ognuno di noi stava continuando a pensare alla donna misteriosa. Chi era? E perché quel dono inaspettato? Nella mia testa (e sapevo di non essere l’unica) si andava via via delineando quello che per me era ormai il mistero della benefattrice sconosciuta.
“Questo è un caso per gli investigautori”, riflettei… e mentre lo pensavo avevo già il cellulare in mano.
Sapevo che insieme saremmo riusciti a pianificare una buona strategia per risolvere quello che ormai nella mia testa era diventato lo strano caso della benefattrice misteriosa.
Mandai un messaggio sulla nostra chat, sperando che ci fosse qualcuno online: ed ecco poco dopo i trilli consecutivi di risposta.
Eccoci di nuovo lì, pronti a risolvere un nuovo caso: io, Flavia, Dario, Alida, Surya, Bibbi, Roberta, Walter, Puccia, e nientemeno che il grande cavalier Scilix.
Raccontai ai miei amici l’episodio del pomeriggio e naturalmente tutti furono concordi nel ritenere il caso un codice rosso.
Ci mettemmo subito al lavoro.