Marianna Mattei era nata povera, alla fine dell’Ottocento.

Cresciuta in un secolo di grandi fermenti e trasformazioni, scelse d’istinto una vita diversa dalle altre donne della famiglia e del paese, pur senza esserne del tutto consapevole.

Era alta, abbastanza bella e di carattere “tosta”, come la sua terra d’origine, il Molise.

Con tenacia e superando le mille difficoltà economiche di casa, riuscì a studiare e a diventare ostetrica, assumendo la Condotta in un paesino nell’entroterra Beneventano.

Era determinata, ma pur sempre una “donna”, che, socialmente, doveva accompagnarsi a un marito.

Non so quanto e se abbia veramente amato il marito. Lo scelse di parecchi anni più anziano e lo indusse a considerare il suo lavoro di ebanista, per lei socialmente irrilevante, come quasi un passatempo.

Al vero lavoro avrebbe pensato lei.

In qualsiasi giorno dell’anno e con qualsiasi condizione atmosferica (freddo, pioggia, vento, neve) era chiamata e, avvolta in un mantello, arrivava nelle case, nelle campagne, nei casolari più desolati. Talvolta fino all’alba.

Doveva correre, anche in piena notte, perché… la vita non può attendere!

In qualche occasione era chiamata perfino dai fattori per mucche o cavalle gravide.

Tornata a casa, riposava pochissimo. Il nuovo giorno non le consentiva soste.

Cucinava e gestiva la casa impartendo ordini a tutti.

Ben presto arrivarono due bambini, ma lei non si fermò un attimo.

Per farsi aiutare, accolse in casa la cugina zitella del marito, che le stette accanto sopportando il suo carattere non facile.

S’interessò anche di politica, sostenendo il Partito Popolare, tenendo animati comizi… dal balcone di casa!

 

Aveva nell’intimo una concezione di vita, per storia personale e educazione, legata alla materia, al senso pratico, alla sistemazione, di conseguenza il sogno e la favola non erano previsti e questo spiegherebbe la sua durezza di carattere. Se non si esamina il contesto in cui è vissuta, sicuramente potrebbero risultare poco accettabili e comprensibili alcuni atteggiamenti pubblici, anche con i familiari: riempire la macchina dei figli di tanti doni; regalare alla nipote un corredo principesco; urlare, anche a sproposito, con i nipoti per nascondere l’imbarazzo di un eventuale abbraccio.

Questo era il suo modo di amare.

 

Tre eventi esemplificativi del suo carattere.

 

Ogni volta che i nipoti lasciavano la sua casa, dopo essere stati a trovarla con i genitori, si compiva un rito.

Dovevano entrare nella sua stanza da letto per ricevere un regalo, dei soldi.

In quel caso si capiva subito che c’era una differenza fra maschi e femmine. I ragazzi avevano molto di più, perché, secondo lei, le donne non avevano bisogno di soldi quanto gli uomini.

Non c’era discussione, era così!

Quante volte le nipoti pensavano che fosse stato meglio nascere uomo… almeno sarebbe stato più conveniente.

 

Il secondo evento lo racconta la nipote stessa:

“Mia madre morì all’improvviso, lasciandoci tanto sgomenti da non sapere come andare avanti. La nonna arrivò con gli altri parenti, ma con molta razionalità: i morti erano già il passato e bisognava guardare al futuro. Aprì gli armadi e cominciò a togliere i vestiti di mia madre, aggiungendo frettolosamente che mio padre doveva comunque rifarsi una vita. Ebbi un moto di rabbia tanto forte da farla vacillare, anche solo per un momento, e riuscii a bloccarla nel suo intento”.

 

L’ultimo ricordo riguarda il periodo della vecchiaia.

Il figlio si era risposato e lei, inizialmente, era soddisfatta della scelta.

Salvo poi pentirsene amaramente.

La seconda nuora era, a suo dire, un’arpia con volto di serpe. Litigavano di continuo e quando andò via dalla casa del figlio, dove aveva vissuto per un po’ di tempo, nel salutarla alzò il bastone che usava per sorreggersi, lasciando pensare ai presenti a un gesto inconsulto. Che non fece, abbassando l’arma.

Aveva, però, ancora abbastanza forza e passione da… sputarle sulle scarpe e andare via!

Quel gesto fu come una bomba per tutti. Un modo di riprendersi vita e dignità, come una sfida di una donna anziana ma ancora vigorosa e risoluta verso chi non riteneva alla sua altezza.

Una matriarca che non si lasciava comandare da nessuno.

 

Di tempra e fisico energico, dopo aver confezionato a mano un merletto per l’altare della Clinica dov’era ricoverata, Marianna Mattei ha lasciato questa terra alla veneranda età di centoquattro anni.

Sul letto di morte era elegantissima, in quel vestito tanto agognato (anche se per scherzo) dalle nipoti: di seta nera e con un lungo velo ricamato.

 

 

 

 

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