La giornata non era stata un granché.
Solito traffico per arrivare in ufficio.
Quelle pratiche che sembrano sempre più ”immortali”!
Per ritrovarmi, poi, nell’ora d’intervallo con il solito panino un po’ duro e senza gusto, al solito bar di fronte, con i soliti commensali di tutti i giorni, chiassosi e inutilmente invasivi.
Il pomeriggio, inoltre, si era letteralmente scatenato un turbinio di motori e gas di scarico: non ci si muoveva di un metro, tutto bloccato.
Che cosa era successo? Non era dato sapere.
Fra me e me sorridevo all’idea. “Se Niki Lauda fosse stato nella sua Rossa affiancato dalla mia Umile quattro ruote, cosa avrebbe fatto? Secondo me, avremmo entrambi atteso un tempo indefinito!”
Arrivo a casa zuppo di sudore e di nervosismo. Mi catapulto sotto la doccia.
Sono in ritardo. L’appuntamento al ristorante è per le venti. Devo sbrigarmi.
Decido pi prendere un taxi: per oggi basta guidare, ho già “dato”.
Il posto è tranquillo e ben gestito, luci soffuse (niente neon, per fortuna), una ventina di tavoli, occupati per una buona metà. Un camino acceso che sfrigola lento al centro di una parete.
Siamo ad ottobre, non fa tanto freddo, è vero, ma il camino distribuisce ugualmente un'accattivante atmosfera.
Alle pareti litografie originali di alcuni artisti contemporanei. Distinguo anche un Picasso famoso, parte di una serie molto diffusa.
Mio fratello ha organizzato questo incontro per parlarmi di un suo nuovo progetto lavorativo e vuole il mio parere. Quella laurea a pieni voti in Scienze politiche per fare da portaborse e ufficio stampa (?) ad un avvocatuncolo in attesa di una candidatura alle prossime elezioni proprio gli pesa e così si sta impegnando per prendere una strada diversa. E questo è il motivo del nostro incontro.
Non è tutto facile, visto che è sposato e il figlio sta iniziando ad andare a scuola.
Bisognerà pensarci bene.
Mi accomodo al tavolo prenotato e… squilla il cellulare: è lui che si scusa moltissimo, ma non può venire, poiché la moglie ha avuto uno dei suoi attacchi di sciatica ed è rimasta bloccata con la schiena dolorante.
Gli rispondo di non preoccuparsi e rimandiamo l’incontro.
Comunque, giacché mi trovo, decido di restare qui a cena.
Il menu è interessante: ordino un antipasto mare-terra ed un primo (assolutamente di mare, un genere che a me piace molto) con una bottiglia di bianco DOC bello fresco.
Mentre aspetto il servizio, mi guardo un po’ intorno e concedo una sbirciata a qualcuno dei tavoli occupati.
Un gruppetto di amici (lo direi dalle espressioni gioviali e dal parlare concitato); non sono proprio silenziosi, ma non danno fastidio.
Capisco dai loro discorsi che stanno perpetuando un appuntamento fisso: cena senza mogli o fidanzate o compagne. I discorsi sono quelli abbastanza abituali. Un figlio arrivato da poco. Un problema al lavoro. Uno screzio con la compagna di turno. L’attesa per i risultati di un esame clinico un po’ difficile.
Eppure si “sente” che sono amici (e complici) da lungo tempo.
Una famigliola di quattro persone: padre, madre e due ragazzini, ripresi continuamente dalla genitrice per il loro ostinarsi a giocare con i cellulari invece di onorare le pietanze.
Al che il padre, un po’ arrabbiato, rivolto ai ragazzi: “Una volta tanto che andiamo insieme a cena fuori nemmeno ci degnate di una qual minima attenzione. Basta, è l’ultima volta!”.
Una coppia di anziani, rilassati e soddisfatti della cena (almeno così a me pare). Danno l’impressione di festeggiare una data importante, anche se non sento i loro discorsi: si sorridono vicendevolmente e alzano spesso i calici per brindare.
In un angolo, un po’ defilati, una coppia di una trentina d’anni.
Non ascolto le loro voci, ma li distinguo abbastanza bene.
Lui ha giacca sportiva color avorio, camicia aperta e senza cravatta, leggermente brizzolato.
Lei ha camicetta stile Havana con gilet beige scuro, capelli corti, scuri, con taglio difforme fra un orecchio e l’altro.
Chiacchierano tranquilli, davanti ai piatti fumanti e a due calici di rosso.
Ha l’aria di essere un appuntamento galante: lui la guarda con attenzione e cortesia, lei risponde con sguardo languido.
Mentre ricevo gli antipasti, vedo una cameriera, in gonna e gilet blu elettrico su camicia bianca, portar via i piatti a loro due.
A questo punto lui, sfoderando un sorriso a trentadue denti, si volta, estrae un pacchetto dalla giacca e, dandole gli auguri (non capisco per cosa, però), glielo porge.
Lei è molto contenta e, preso il pacchetto, dopo aver atteggiato le labbra a un bacio, lo scarta e ne tira fuori… un Libro!
Ha l’aria soddisfatta e appagata di chi si aspettava proprio quel regalo.
Appoggia il regalo accanto ai piatti a tavola (nel frattempo la cameriera ha servito un’altra portata) e prende la sua mano, con tenerezza.
La cena continua, sia la mia che la loro, e devo affermare di aver fatto un’ottima scelta culinaria.
Lei continua a osservare il tomo, rigirandoselo spesso fra le mani, quasi volersi accertare e confermare dell’importanza del regalo.
A un certo punto, la svolta.
Come si sa, nei libri esistono storie, nella realtà solo avvenimenti.
Così, mi par di notare che lui dica qualcosa, con espressione quasi dispiaciuta, pentita.
Lei si blocca, appoggia la forchetta sul piatto e inizia a rispondere piano, con pacatezza, ma con altrettanto piglio deciso.
Non riesco a udire quello che si dicono.
Lui ribatte pentito e un po’ timoroso.
Lei continua a parlare, per niente tranquillizzata, quasi impugnando il libro e agitandolo in aria, come per darsi forza.
Alla fine si calma, si alza (lui cerca di trattenerla, ma inutilmente), prende borsa, soprabito e libro e si avvia all’uscita.
Dopo qualche passo si ferma, torna indietro e si dirige al camino.
È un sol gesto deciso e preciso: il libro ha trovato la sua (peregrina) collocazione.
E se ne va.
Lui rimane di sasso, immobile, guardandosi intorno.
Sarà la fine della loro storia?
Sono troppo curioso, ma non ho potuto appurare il seguito della vicenda.
Peccato!