La matrona si avvicinò a una di queste buche e con un ramo scostò appena la melma putrida della superficie, sotto c'era un’acqua appena torbida ma pulita. L’odore, una volta eliminata la parte marcia, era leggermente solforoso.
Era indecisa se toccare con le mani l’acqua, quando nella foresta echeggiò una sonora risata. Il suono era amplificato dal rimbalzare da un albero all’altro e non si riusciva a definire la direzione. Le ancelle impaurite si raggrupparono attorno alla padrona, ma anche lei si guardava in giro per rendersi conto da dove venisse quel suono così sinistro. Dopo pochi istanti il suono tornò a farsi sentire, era una risata cupa e cavernosa con un volume molto alto, doveva essere un gigante o una divinità che voleva divertirsi alle loro spalle.
Le ancelle tremavano dalla paura e parlavano dell’essere mostruoso della leggenda. Apuleia per quanto coraggiosa, di fronte a un evento strano non presentante nemici reali era rimasta immobile, cosa fare? Tornare indietro, restare ferme o far finta di niente? La loro meta era stata raggiunta, le vasche termali erano lì, erano sporche perché abbandonate, ma era sicura che il marito le avrebbe riattivate in poco tempo.
<Bene, abbiamo trovato le vasche e constatato le condizioni nelle quali versano, direi che possiamo andare per il momento, torneremo con molti uomini e le faremo pulire. Parlerò con mio marito in modo che i nostri ingegneri possano ricavare da quest’acqua qualcosa di più decente. Forza, rimettetevi in piedi e smettetela di tremare, torniamo a casa, due di voi davanti e io e Rufia dietro. Non si erano ancora mosse che la risata si fece sentire e questa volta seguita da una voce che pareva arrivare dall’alto degli alberi.
<Ah ah ! Non così in fretta fanciulle, dove credete di andare? Sapete che qui non dovete venire, questo è il mio regno. Ora qualcuno deve pagare il pedaggio, non è educato, mater romana, portare uomini nel mio regno. Ho sentito le tue intenzioni, non va bene così.>
Apuleia punta sul vivo si mise al centro del sentiero con le mani sui fianchi pronta a battagliare con la voce misteriosa.
<Come osi rivolgerti in questi termini a una patrizia romana? Sei un vigliacco, esci dall’ombra dove ti nascondi e vieni avanti, non avrai paura di qualche donna, tu che ti dai tante arie! Poi, posso sapere tu chi sei che ti prendi il diritto di dichiarare questa terra come la tua? Dovresti sapere che tutto quello che esiste qui intorno appartiene al popolo romano. Noi e soltanto noi, siamo i padroni di tutto, te compreso!>
<Questa poi la vorrei proprio vedere, voi siete i padroni di me>, risuonò ancora una risata terrificante.
<Solo perché avete avuto la meglio su questi pochi e docili montanari credete di essere degli Dei? Siete solo dei piccoli omuncoli che posso spazzare via senza nemmeno agitarmi tanto, basta un soffio e di voi resterebbe solo il ricordo, stupida donnicciola romana. Chiedi di farmi vedere, quando mai gli Dei sono al comando degli uomini?>
A quel punto anche Apuleia cominciò a dubitare di farla franca, se quello era un vero Dio non poteva certo opporsi, era inutile fare la voce grossa con loro. Doveva cambiare tattica altrimenti la cosa poteva finire male.
<Sentiamo allora chi saresti? Il tonante Giove? Il divino Apollo? Non credo che gli Dei si comportino così. Palesati a me figura celeste, se sei davvero un Dio non ho difficoltà a inchinarmi al tuo volere, ma se non lo sei faresti bene a preoccuparti, sappi che le donne romane non sono da meno degli uomini, non hanno paura di voci nascoste e presunti Dei.>
<Per favore padrona non lo stuzzichi, può essere pericoloso. Abbiamo avuto già troppi morti misteriose in questo bosco, non vogliamo che vi accada qualcosa di brutto.>
<Tranquille donne, se voleva farci del male lo avrebbe già fatto, è chiaro che vuole solo impaurirci, siamo in quattro e non se la sente di affrontarci tutte insieme. Ho capito che è tutta una manovra per approfittare di donne impaurite. Ora vedrete che succede, voi non vi allontanate, restate unite vicino a me, nel caso gli daremo na bella lezione.>
<Allora grande Dio, ancora non ti sei fatto vedere. Che succede, non sei presentabile? Sei rimasto senza la toga e hai vergogna do farti vedere? Fanfarone che non sei altro, come vedi basta una donna romana per tacitarti.>
<Donna, - rispose la voce misteriosa – non stuzzicare, non ho voglia di farmi vedere tutto qui, piuttosto perché non mandi a casa le ancelle, non vorrei s’impressionassero per quello che ho intenzione di fare con te, non sono mai stato con una come te, solo queste stupide ragazzette, credo che ci divertiremo io e te nobile romana.>
La risata risuonò ancora, ma questa volta ci fu un intervallo che interruppe il rimbombo e il suono si attutì notevolmente, diventando una normale risata di un essere umano. Apuleia fu lesta a capire da dove proveniva e si diresse subito verso il punto che aveva individuato. Arrivò in piccolo spazio aperto privo di vegetazione, solo alberi intorno come a delimitare una piazza. Uno degli alberi aveva un grosso buco, era un albero cavo e fece in tempo a notare un movimento al suo interno.
Per nulla spaventata si gettò con forza a prendere con le mani chi c’era dentro. Ne uscì un piccolo satiro, era alto la metà di lei, con un paio di corna e i piedi da capra. L’unica cosa vistosa che aveva era un enorme fallo rigido. Era eccitato, evidentemente dalle parole che aveva detto prima il pensiero di poter mettere le mani su una donna romana dotata per altro di notevole bellezza, lo aveva fatto eccitare e i satiri sono famosi proprio per le dimensioni del loro organo. Cercava di divincolarsi dalla presa della donna, ma lei era forte e lo teneva per le corna.
<Domitilla, vai nel carro e cerca sotto il cuscino dove siedo io, ci deve essere il gladio che porto sempre con me. Vediamo se adesso quello che voleva spazzare noi umani cosa dice quando gli avrò tagliato quest’affare mostruoso, questo si che dovrebbe far paura donne, non questo incrocio di capra e uomo.>
<Per gli Dei dell’Olimpo donna non vorrai fare quello che hai detto, non è giusto! Ti prego, sì ammetto, mi sono divertito con voi, ma alla fine non vi ho fatto nessun male, stavamo scherzando.>
<Taci essere repellente e puzzolente, con tutta questa acqua che c’è qua, non sei capace di fare un bagno, caprone! Allora arriva sto gladio?>
<Eccolo padrona, ma è necessario fare questa cosa? Uccidere anche uno come quello poi ci si pente, non lo faccia padrona, aspettiamo che arrivi il pretore, deciderà lui!>
<Secondo te come fa a sapere dove sono? Siamo partite ma non ho potuto avvisarlo.>
<Io si padrona, ho chiesto a Cicurino di avvisare il padrone e dirgli dove eravamo andate. Questo posto non era sicuro e io ho pensato di tutelarvi da possibili cattivi incontri. Avevo troppa paura, sapevo che c’era qualcosa di misterioso, le sparizioni di tante amiche non era uno scherzo.>