Francesco era rimasto sul marciapiede mentre il treno, ormai, si scorgeva appena nella nebbia intrisa di odori ferrosi. I fanalini di coda sembravano occhi arrossati con una voglia di piangere, come quella che gli stava salendo da dentro e che a stento riusciva a contenere. Sapeva che non valeva la pena versare delle lacrime per quella donna che tanto male gli aveva procurato. Era finita e, questa volta, per sempre. Lei non sarebbe tornata indietro, né lui voleva rivederla. Approfittando della sua decisione improvvisa di andarsene, forse, pur soffrendo poteva tentare di dimenticarla.
Rimase fermo a guardare i due fanalini rossi che sparivano nel buio della notte, poi si scosse e riprese il controllo di se stesso. Era ora di andare!
Doveva tornare al casolare, ai suoi animali, alle sue mucche. Loro meritavano di essere amate e coccolate. A modo loro sapevano ricambiare le attenzioni che lui aveva per loro.
S’incamminò verso l’uscita a capo chino, incurante dell’aria fredda e della nebbia che stava diventando sempre più fitta. Uscì dalla stazione e si trovò immerso in un alone lattiginoso, non riconosceva il posto. Era frastornato. La stazione ferroviaria non era un posto che aveva frequentato molto di recente. Era arrivato di corsa inseguendo lei e non aveva fatto caso a dove aveva parcheggiato la macchina. Si sentiva circondato da occhi luminosi che lo attorniavano da tutte le parti.
Ebbe un attimo di sbandamento, camminò in obliquo fendendo la nebbia che lo circondava. Il passaggio continuo delle macchine, per fortuna, stava diradando quell’alone biancastro e in modo fortuito, dopo aver superato un incrocio, riuscì a ritrovare la sua auto grazie al comando elettrico delle chiavi che fece illuminare le luccicanti aperture delle porte. S’immerse di nuovo in quel cielo liquido, mescolandosi in quella danza luminosa di luci bianche, gialle, rosse, come lucciole impazzite nel buio di una notte d’estate.
Il giorno dopo, alla fattoria, il canto del gallo lo fece destare alle prime luci dell’alba. La vita ricominciava. Era solo, anche se aveva il fedele amico Hassan che lo avrebbe aiutato, come sempre, con i lavori all’interno della sua azienda agricola.
C’era del lavoro arretrato da portare a termine, più quelli giornalieri. La mungitura delle mucche, il fieno da distribuire nelle mangiatoie, le uova da raccogliere. Lavorò ininterrottamente per tutta la mattinata, voleva sfinirsi, lavorare fino all’estremo per non dover pensare, ma a mezzogiorno, distrutto dalla fatica, quando il sole arrivò alto nel cielo, si fermò. Seduto su una balla di paglia non poté impedire alla mente di ritornare ai giorni appena trascorsi e a quanti eventi negativi aveva dovuto far fronte.
La morte del padre di Elisa era stata improvvisa. Quella era stata la classica goccia che aveva rotto gli equilibri precari del suo rapporto, aveva dato inizio alla sequenza di eventi che avevano fatto precipitare la situazione. La conclusione era che, adesso, era un uomo solo.
Le condizioni di salute del vecchio erano tali da non consentire false illusioni, sapevano che doveva succedere, tuttavia, quella dipartita aveva avuto un impatto devastante sulla sua compagna. L’aveva presa male, almeno così sembrava dalla sua reazione, ma pensandoci a mente fredda, capiva che era stata tutta una finzione. Lei non aspettava che il momento propizio. La fuga della sua amata non era stata dettata da un gesto impulsivo, ma da un atto che doveva essere stato pensato già da qualche tempo.
Solo l’amore che provava per lei gli aveva impedito di notare i segni d'insofferenza di Elisa nei confronti della vita agreste. Non amava niente di quello che la circondava. Si sentiva oppressa come una reclusa: niente shopping, niente amiche con cui chiacchierare, niente uomini dai quali farsi ammirare. Le numerose discussioni, alla fine di giornate particolarmente impegnative, non erano state prese seriamente in considerazione da parte sua e ora si trovava a recriminare sui suoi comportamenti arrendevoli nei confronti di quella donna. Aveva dato per scontato le dichiarazioni d’amore di lei, non si era accorto della verità che pure era sotto il suo naso. Lei non era il tipo che poteva resistere a lungo con le mucche e le anatre.
Aveva atteso anche troppo, forse era stata solo la presenza del padre infermo che l’aveva trattenuta così a lungo. Alla prima occasione era fuggita. Lei diceva di amare il suo Francesco di un amore potente, importante. Un amore capace di affrontare tutte le difficoltà che si sarebbero presentate, invece le sue parole erano come il vento che passa fra le canne. Quelle brezze che arrivano leggere in silenzio e, fra le canne, fanno rumore e sembrano tempeste.