Se la dovette sbattere abbastanza e poi parecchio Celestino, una volta presa stanza e posto e locazione presso quel minuscolo monolocale barra mansarda nel palazzo notabile, tanto desiderato tra le fantasie immobiliari del piccolo imbecille senza denaro e senza lavoro.

Celestino potè godersi di pochi denari nel suo conto postale vecchio di diverse settimane, denari che stavano andando al diavolo a forza di mobili da ipermercato e ricerche online degne di un archeologo, denari frutto di qualche lavoretto estivo e pre-autunnale - ad ogni euro scattava tra le meningi la scenetta sia del titolo del lavoro a progetto, denominato tra le righe del bando regionale come "Insieme per la scuola: educazione all'uso delle droghe leggere", sia dell'amaro mentale di quanto Celestino seppe che sarebbe finito male davanti alla novella generazione di periti drogativi capaci di snocciolare anche la composizione molecolare del principio attivo delle ultime dorghe creative: dopo tre parole sulla tematica, i pargoli aventi una varianza dalla sua età superiore pericolosamente alta sarebbero stati capaci di aggiungerne trenta, una più precisa dell'altra.

Un po' se la rise pensando al disinteresse falso dello zio Amintore, dato che la sua piccola fortuna era frutto di innumerevoli rapine presso la cassaforte privata dell'amato zio Amintore; e si parla di un gioiellino della più recente tecnologia antiscasso, roba costata milioni di lire dell'epoca, nemmeno troppo nascosta da suppellettili o quadri di seconda scelta da fiera paesana, resa però inutile davanti alla cimice umana del fratello Benedetto e delle sue capacità di spionagigo famigliare con soli due applicazioni celate anche all'occhio più scaltro e ben curato dalla cataratta fisiologica.

Celestino rimase per quel pomeriggio fisso ad occhio altalenato e cipicchioso agli infissi del soffitto da poco ristrutturato in quell'angolino di storia novecentesca ed evitò di farsi coinvolgere dagli odori che doveva almeno un mese prima puzzare, di residui polverosi di servitù alla mercé di qualche notaio umbertino o industriale giolittiano o gerarca mussoliniano o imprenditore democristiano o intellettuale comunista, insomma l'umanità del suo paese prossimo alla disfatta dell'evoluzione naturalistica.

Celestino nel suo silenzio e nella sua solitudine voluta e goduta, poco a poco fece come suo uffizio la coltura del suo unico moto, il disprezzo, rimuginando al fatto ormai ovvio che se avessero i suoi conterranei, preso coscienza delle sozzerie e delle entità pusillamini che circondavano gli avanposti socio-economici dello Stato, a quest'ora sarebbero comunque altamente fottuti e solo depressi e disincantati, se non esuli per conto proprio.

Celestino era ormai in odio crescente per la popolazione e gli abitanti del suo palazzotto perechiano, tanto da farsi venire in mente l'ultima impresa mondana a cui non era stato invitato, ma fotte Sega, era meglio andarci tanto per continuare a disprezzare con qualche stuzzichino tra le gote interne. Se l'era magnate senza dar ascolto d'importanza alle chiacchiere lavorative e altolocate di quei quattro straccioni in festa: i freschissimi coniugi Arnaldo Valecchi e la signora Elisabetta de Gigli, corteggiata per la sua imminente maternità dalle clienti del marito, in abiti glamour da bimbe stagionato e da qualche conoscente di poco valore, in un'omogeneità farlocca e autoreferenziale. Celestino si alzò dalla sua posizione di contemplazione architettonico-privata e si avvicinò al cucinotto per scaldarsi il caffè avanzato dalla mattina, che a lui pareva non passata sebbene la luce solare ora tendente all'arancio, col cielo turchese e l'aria in spegnimento.

Celestino camminò  per tutto il brevissimo tragitto male, malissimo, a zoppi e claudicanze, effetti desiderati per via della sbronza fatta coi vini di enoteca di primo livello del suo vicino, il sempiterno giovane businessman e promoter di start up Arnaldo Valecchi, maritato con l'agente di commercio Elisabetta de Gigli, la fighina più corta della serata se messa in parallelismo estetico con tutte le giovincelle in odor di zitellaggio, che non stravedevano per Celestino, cui a breve avrebbe dovuto ricorrere alla cassa mutua per qualche appuntamento dall'urologo/sessuologo o più economicamente possibile alla clausura e alla castità. E Arnaldo che si chiedeva chi cazzo fosse quel brigante che stava a fa' fori il piatto di "vaulovonte" (eh no, il francese era ancora a un misero A2, ma pace buona all'interprete dell'attività, la sua madrelingua Elisabetta!) e che mirava al culo della sua cliente maggiorata e di maggioranza: Celestino si chiamava, ma chi l'aveva invitato?

Celestino parlottò davanti al primo grado gentilesco del Giglio di casa Valecchi, in quell'anfratto di mobilio di prima scelta acquistato a prezzi stracciati e con qualche sotterfugio da mercante mendicante e il Giglio di casa Valecchi lo lasciò fare, sapendo che era totalmente innocuo alla verginità delle signorine loro clientela pregiata per la vendita di cosmesi biologica, ma sospetta da alcuni forum in rete di qualche addizione chimica forse nemmeno tanto assicurata dalle ultime ricerche scientifiche, tanto a loro interessavano le ricerche di mercato. Però le ricerche non andavano a genio, quel rinco bronco del suo marketing assistant non sta a fa na sega se non numeri, numeri, numeri che non voglion dì un cazzo: a noi servino gente che ce li compra, non statistiche!

Elisabetta de Gigli lo lasciava andare agli sproloqui telefonici nel suo studiolo ornato e prossimo alla wunderkammer, e non s'accorse che Celestino, dignitosamente brillo, se la godeva dello stalkeraggio visivo delle pavonesse, delle colombine e delle piccioncine tubanti di trucchi e di cultura pop trash tanto per poter dire la loro opinione inutile e insignificante ad altra gente dello stesso livello qualitativo. L'amabile Celestino si ritrovò col cellulare in vibrazione - e si sa, il cellulare è il nuovo ammennicolo genitale, posto sempre lì attorno - destando l'attenzione delle giovincelle, le quali si fecero possedere nelle celluline grigie, dopo un iniziale disdegno, ad un'attrazione buffa e gigiona per le parti basse in fibrillazione. A questa scenetta involuta Celestino ebbe un goccio in più di fiducia in se stesso, un goccio in meno di rispetto per il Giglio, niente più gocci di alcol perché cadde subito sul divano lindo e immacolato dalla sua lordura da briaco.

Si ricordò della sceneggiata sia dopo essere rinvenuto dentro il suo locale, probabilmente portato a peso dall'Arnaldo Valecchi con tanto di foglietto scritto con penna Montblanc "Lei è una testa di cazzo: non si faccia rivedere o..." e la minaccia velata degna di chi non vuole casini a livello giuridico (al massimo fiscale), sia mentre si sbrigliava in bocca il caffè amaro tremendamente amaro per ricostruire la poca mente sopravvissuta al suo impossibile desio di autodistruggersi, un regalo che molti si fanno ma in modi totalmente diversi e originali tra loro.

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