Milano, 18 aprile 1975.
È sera tardi quando torno al Residence, quell’ex albergone di 13 piani dall'aspetto pretenzioso e dalle stanze molto piccole.
È vero, ragionandoci a mente fredda lo ammetti con te stesso: “Hai fatto una piccola stronzata!”
Ero seduto sulle scale dell'ingresso principale della Statale quando li ho visti arrivare.
Calmo, tranquillo, ero in buona fede.
La domenica precedente aveva organizzato, come spesso accadeva da quando era arrivato nel capoluogo lombardo, un’escursione fuori porta con il suo amico Gennaro (anche lui al nord in cerca di migliore occupazione) e Maria con marito e figlie, due bambine vivaci, carine e simpatiche.
La meta era stata Como e ancora ricorda lo spuntino sul lago a base di rane fritte, che non sono proprio sempre appetitose, specialmente se in quantità debordanti, come in quei piatti.
Comunque la giornata era stata piacevole, rilassante e divertente, con la solita "chitarrata sul prato" come si usava spesso fare. Il tutto a base di De Gregori, Guccini, Battisti e altri.
L'altro ieri Claudio Varalli è stato colpito a morte da un colpo d'arma da fuoco esploso da Antonio Braggion, neofascista; ieri Giannino Zibecchi è morto investito da un camion della polizia durante una manifestazione.
In città la tensione è alle stelle. Per il pomeriggio è indetto un corteo antifascista in corso XXII Marzo, nei pressi di via Mancini, sede della Federazione del MSI, luogo dove è stato investito Zibecchi.
Alla fine del turno di lavoro mi precipitai sul posto.
L'atmosfera era tesissima.
Da un lato i manifestanti, molto incazzati, diretti a via Mancini.
Dall'altra il cordone dei poliziotti, in pieno assetto anti-sommossa, attenti a non far avvicinare il gruppo.
In mezzo, io e tanti altri.
In verità era la prima volta che mi ritrovavo, per scelta, in una situazione del genere.
Anche se l'anno prima, a Napoli, mi ero ritrovato a fare da servizio d'ordine a un corteo, spalla a spalla con ragazzotti di un metro e novanta a tutela dei manifestanti.
Oggi era diverso. Non ero fra i manifestanti, ero da solo e per giunta c'erano due ragazzi inconsapevolmente morti da onorare.
L'aria pesante si tagliava a fette.
Sarebbe potuto succedere di tutto.
E sarebbe stato un danno per tutti.
Dopo un paio d'ore di trattative, la tensione si stemperò. La sede politica fu fatta chiudere ed evacuare.
A quel punto il corteo iniziò ad allontanarsi ed io li seguii per un tratto.
Sono le nove passate e mi ritrovo nei pressi della Statale.
Ho saputo che ci sarebbe stata la loro presenza in quella zona.
A quel punto, mi alzo su di un muretto della scalinata per vedere meglio.
Eccoli, arrivano. Era la prima volta che li incontravo 'dal vivo'.
Altre volte li avevo seguiti durante qualche Telegiornale serale, intervistati sempre di spalle o con il volto coperto.
Quella sera sono lì, davanti a me.
E allora mi viene la voglia (curiosità? presenzialismo? vanità?) di... scattare!
Come facevo spesso, in tante occasioni, pubbliche o private, impegnate o ludiche.
Come avevo fatto la domenica con il lago e le rane, come avevo fatto qualche ora prima in via Mancini.
Questa volta, però, non avevo considerato il tutto.
Superficialmente, ingenuamente e poco professionalmente ho scattato con il flash, che si è notato subito.
Doveva aspettarmi, come era prevedibile e opportuno (visto che nessuno mi conosceva), che qualcuno mi venisse a chiedere conto di quello scatto.
Dopo un po’ di discussioni, sono riuscito a convincerli della mia buona fede.
Ho tenuto la macchina, ma ho perso il rullino con tutti gli scatti di quei giorni.
Forse è in quel momento che ha dedotto di non essere destinato ad una carriera di foto-reporter.