La stanza poco prima era completamente al buio.
Come una sorta di sfida, il sole volle fare capolino da dietro il Monte Faito e i suoi raggi si infilarono prepotenti tra le stecche delle persiane, ancora chiuse.
Invasero quel luogo in una sorta di gioco di luci, creando lunghe scie che si rifrangevano da un capo all’altro in piroette balzanti e arcobaleni innaturali.
Gli odori anch’essi cominciarono ad avanzare sospinti dalla prima brezza della mattina, proveniente dal mare.
Erano gli odori della città.
La fragranza del pane appena sfornato di Don Ciccillo si combinava con l’aroma delle olive nere di Afragola di Don Gaetano,in un connubio di gusto da far trasalire i morti.
La Premiata pasticceria “ Da Anna” aveva ormai esposto sui suoi banconi ben ordinati ogni ben di Dio.
Freselle, panzerotti, sciu, sfogliatelle erano l’apoteosi del gusto e il loro profumo, proveniente dal laboraorio posto sotto il palazzo, saliva con fare ardito, piano dopo piano, fino a raggiungere il cielo.
Forse anche gli angeli amavano quel luogo.
Tutto questo scosse, forse, quel corpo adagiato sul letto ad una piazza e mezza, innescando un movimento così lento che provocava sensazioni di spasmi infiniti di attesa.
Prima le gambe stiranti si spinsero verso il fondo del materasso toccandone la punta e nel contempo le braccia spostarono con fatica il lenzuolo che copriva il capo. Le mani chiuse a pugno si avvicinarono agli occhi che furono sfregati fino ad arrossarli.
Riabbassate le braccia al livello dei fianchi, una testa dai capelli foltissimi, ricci, neri, ispidi, apparve.
La barba incolta e gli occhi cerchiati di nero davano l’immagine di quest’uomo.
Lentamente, il corpo ruotò di 90 gradi facendo penzolare i piedi dal letto che, già molto alto di suo, aumentava la difficoltà della discesa.
Con un balzo non esattamente felino toccò terra.
Inginocchiatosi si mise alla ricerca delle pantofole e dei suoi calzini. La scoperta non fu immediata: un calzino era infilato sul pomolo del fondo del letto a mo’ di bandiera (oserei direi segnalante pericolo dato il suo odore), l’altro aveva preso dimora nel cesto della frutta nel bel mezzo del tavolo. Le pantofole nel frattempo avevano vagabondato, raggiungendo il bagnetto posto a pochi metri.
La stanza non era grandissima, ma era tutto il suo mondo. Il mondo di Beppe Astice detto U’ Suonno.
Il nomignolo, che lui ricordasse, gli era appartenuto da sempre, fin da quando era ragazzino e scendeva in strada a giocare con gli altri ragazzi. I suoi giochi erano però sempre molto brevi in quanto, dopo pochi minuti, gli sopraggiungeva una forma di indolenza che avvolgeva tutto il suo corpo, mentre gli occhi piano piano si chiudevano dal sonno.
Di lui, orfano di padre ex operaio Italsider, si occupava la madre Teresa.
Una madre coraggio. Una di quelle donne che vivevano la loro vita per la famiglia, sacrificando spesso i propri piccoli desideri.
Teresa si accorse ben presto che il figlio Beppe aveva bisogno di cure. Il suo stato di salute era precario e la sua malattia fu presto diagnosticata.
Sindrome di Heigesntad. Che altro non era che la manifestazione del sopraggiungere del sonno in qualsiasi momento della giornata. Non c’erano orari particolari, né di giorno né di notte, al primo sintomo di stanchezza il corpo richiedeva riposo immediato.
“Casi come questi nel mondo sono pochissimi, li si conta sulle dita di una mano“, così diceva il Dottor Gargiulo, medico di famiglia da sempre.
Beppe Astice, di questa malattia, ne aveva fatto tesoro.
Costretto a non uscire mai dalla stanza, aveva acuito i sensi in maniera sorprendente.
Nei momenti in cui era naturalmente sveglio, riconosceva di tutto.
Sollevando la testa verso l’alto, a mo’ di capo branco, le sue narici si dilatavano e gli odori venivano inalati con una velocità impressionante, al contempo selezionati in base alla provenienza.
Sugo di Acerra con salsiccia: Donna Fausta del terzo piano.
Cavolfiori con panna e acciughe: non può essere che Donna Angela.
Oh Maronna, questa è Donna Assunta che ha preparato i mugliatielli (interiora di agnello.)
Non erano solo gli odori che la facevano da padroni. Le urla degli ambulanti che vendevano alle donne arrivava alle sue orecchie in maniera ben distinta.
Don Ciro che tentava di rifilare ancora quel vecchio frullatore anteguerra spacciandolo per la novità ultima.
Don Antonio che contrattava sul prezzo delle cicorie con Donna Immacolata.
Don Salvatore che urlava al vento quanto i suoi capitoni fossero freschi.
Tom, figlio della guerra, invece rimetteva in tutta fretta nel suo sacco i cd contraffatti provenienti da Forcella. Stava arrivando la questura e il tam tam del quartiere aveva fatto il resto.
Il senso che più turbava Beppe Astice era la vista.
Quando si avvicinava alla persiana, quasi mai aperta, come fosse una sorta di punizione o privazione, la tristezza era lì che lo attendeva.
Il sole, il mare, il Monte Faito, erano lì nella loro massima esplosione naturale.
I vicoli brulicanti di vita e storie, così vicini che sembrava quasi potesse toccarli con mano, si allontanavano repentinamente.
E lì, di fronte un balcone chiuso, una terrazzina curata, con fiori colorati e vasi di basilico profumato.
Era la casa paterna di Agnese. L’unico suo grande amore.
Il ricordo del primo bacio, da ragazzini, era ancora ben distinto nella sua mente.
Ma altrettanto distinto era l’epilogo: appena dopo aver sfiorato le labbra fanciullesche, cadde nelle braccia di Morfeo.
Agnese non abitava più lì da tempo. Aveva trovato marito e si era trasferita a Marigliano.
Il senso del gusto era invece stimolato quasi interamente dalla madre Agnese, che provvedeva a nutrirlo con cibi adeguati alla sua immobilità.
Il senso del tatto trovava soddisfazione nel maneggiare i soldi. Ogni fine settimana il piccolo Salvatore bussava alla porta della stanza, ritirava 5000 lire e correva a giocare al lotto.
13 \ 71 \ 38 \ 53 \ 22 su tutte le ruote.
Quando ci azzeccava, Beppe amava contare le vincite realizzate, facendo passare i soldi più volte tra una mano e l’altra.
Quella mattina nel quartiere si avvertì che qualcosa era cambiato.
Sembrava quasi che tutti i rumori, gli odori, fossero stati racchiusi in una sorta di contenitore per evitare di disturbare e per creare quella forma di rispetto dovuta a una persona cara.
Beppe quella mattina non interruppe il suo sonno. Non ebbe neanche più modo di guardare il mondo attraverso le persiane della sua stanza o di sentirne i suoi odori o i suoi rumori.
Ma la gente ricorda ancora Beppe Astice, detto U’ suonno.
Nu’ uaglione che nella vita fece tesoro assai prezioso delle piccole cose che possedeva.