Percorrendo la Prenestina, un’antica via consolare romana, la mia macchina arrancava.
Sentiva il peso degli anni e di conseguenza necessitava di cure amorevoli.
Chiamando col termine manutenzione quelle cure mi sembrava di sminuirla.
Meglio dire che bisognava avere dell’attenzioni particolari per quell’auto che aveva portato me e la mia famiglia in giro per circa tre decenni. Che aveva sopportato pesi immani, tavoli da picnic, valigie stracolme, la nonna di centocinque chili e il cane che pisciava quando il viaggio era quel tantino più lungo del solito.
Capirete che ormai lei era una di famiglia. Una con cui parlare la mattina per convincerla a partire dicendogli: "adesso fai la brava Carolina".
Ebbene sì, aveva anche un nome e forse anche un’anima.
Non mi aspetto alcuna comprensione su questa cosa, ma il nome glielo diedi quando quella volta percorremmo la Cisa, in direzione Lavagna.
Era l’estate del settantadue. Ci aspettavamo che le radio trasmettessero la notizia che un oggetto non ben identificato stesse percorrendo l’autostrada.
Eravamo talmente stracolmi che sembravamo una specie di panino farcito traboccante di maionese.
Non avrei scommesso nulla sulla riuscita di quel viaggio, ma la mia macchina non mancò l’appuntamento.
Da allora per un periodo ebbi attenzioni più per lei che per mia moglie. Quest’ultima non nascondo, non capii mai il perché.
Le signore diranno sicuramente che questa cosa avviene sovente con i propri mariti.
Io replicai alla mia, che era sempre meglio avere attenzione per una macchina che per il gioco o le donne.
Comunque, quella mattina Carolina la stavo portando da Carletto.
Questi possedeva uno scasso. Sì, insomma, quel posto dove le macchine dimorano per i loro ultimi tempi.
Direi cimitero delle auto, ma mi crea un groppo alla gola.
Nel cuor mio la speranza di non vederla mai andare là era tanta, quindi rimanevo fiducioso.
Carletto quando mi vide mi fece segno con la mano di entrare.
Un rottweiler si avventò al finestrino, ma la catena che lo teneva fermo non permise di scalfire la carrozzeria.
Cane di merda.
La mia macchina aveva bisogno di pezzi di ricambio un po’ datati, quindi bisognava cercare bene tra tutte le altre macchine che erano lì.
Trovammo ben sette pezzi, ma non l’ottavo.
Carletto sarebbe dovuto andare a cercarlo da suo fratello che possedeva un'attività simile.
Mi chiese di lasciargli l’auto per quella sera e il giorno dopo avrebbe sistemato la cosa. Diedi le chiavi ad un ragazzotto che sistemò l’auto senza averne troppa cura.
La doppia mandata al cancello era il segnale. La sera era giunta e un’altra giornata era finita. Il buio stava calando e solo la luna rischiarava quel posto.
Quel posto così fragoroso di giorno, dove macchine stritolatrici mettevano definitivamente fine alle macchine che venivano pian piano smontate per ricavarne pezzi di ricambio.
Dove operai senza alcun riguardo strappavano i tappetini da terra e laceravano i sedili in pelle con lunghe cesoie per trarne il ferro all’interno.
Quel posto dell’orrore faceva venire i brividi a Carolina.
-Ehi,ehi tu!- Una vocina scosse il silenzio.
Carolina si girò ma non vide nessuno , i suoi fanali non si erano ancora abituati al buio della notte.
-Pss, pss. Sono qua, guarda verso la tua destra.-
Con una piccola sterzata del volante si girò verso la voce.
Guardò in alto e vide una piccola macchina bianca che gli strizzava i gruppi ottici.
A guardarla bene era una macchina a metà , in quanto non possedeva più la parte posteriore, ma questo non gli impediva di farsi notare.
-Cosa ci fai qua? - chiese a Carolina.
-Io sono qua in alto da alcuni mesi e a dir la verità mi sto davvero annoiando. Abituata com’ero a stare in strada sorpassando anche i macchinoni nel traffico. Mi facilitava essere un’utilitaria. Il mio nome è 126. Poi sai. . .
-Basta!!! Te ne prego basta!ma quanto parli-
Un’altra voce si levò dal mucchio delle macchine.
-Se consumavi tanta benzina tanto quanto parli ho ragione di credere che il tuo padrone abbia avuto fretta nel volersi disfare di te!-
-Il mio nome è maggiolone e quì sono la decana, nel senso che sono qui da circa dieci mesi. Non curarti molto di 126, lei é una chiacchierona nata. Ma dimmi di te. Hai un nome?-
Non seguì risposta. Carolina era frastornata. Non aveva mai parlato con auto, così in quella maniera.
Timidamente dai suoi altoparlanti ormai usurati venne fuori:
-Carolina, mi chiamo Carolina.-
-Grazioso nome - disse maggiolino, - ma mai sentito in vita mia. Mi sembra un po’ effeminato, poco grintoso come si addice ad una macchina.-
-Beh, non l’ho scelto io. È stato il mio buon padrone a darmelo.-
-Buono? Padrone?-
Un’altra voce si levò dal coro.
-Il mio nome è Prinz Nsu. Sono tedesca e credimi, la mia scorza è davvero molto dura.-
Costei soggiornava in terra priva di ruote e sulla sua schiena ben dieci macchine vi si poggiavano.
-Oh, credimi Prinz, guardandoti meglio ti credo. Come farai mai a sopportare quel peso immane?-
- Carolina ti voglio spiegare una cosa e spero che almeno tu mi ascolti.-
Nel frattempo un coretto si alzò dalle altre macchine: - ancora la storia dell’abbandono. Ne abbiamo le marmitte piene-
-Vedi Carolina, io quando passavo per le strade la gente si girava per guardarmi e anche le altre macchine subivano il mio fascino.
La mia carrozzeria così possente piaceva, devo ammetterlo.
Ma un giorno, quando l’età prese il sopravvento, il mio padrone pensò bene di cambiarmi con un auto nuova.
Mi portò qui una sera e senza dirmi nulla lo vidi contrattare il prezzo con Carletto. Quindi mia cara non esistono padroni buoni-
Carolina dopo aver ascoltato bene quel breve racconto, ebbe un sussulto e dai suoi tergicristalli delle lacrime scorsero.
-E se quello che Prinz mi ha appena raccontato accadesse anche a me?-
No! Non voleva neanche immaginarlo. Il suo padrone non avrebbe mai potuto farle una roba simile.
Il dubbio la lacerò tutta la notte,non facendola dormire.
Anche grazie a quella coppia di Dyane che ronfarono a tutto spiano e al 128 che perdeva olio da tutte le parti, piombandogli sulla carrozzeria.
La mattina il cancello si riaprì.
-Se avessi potuto accendermi da sola sarei scappata da questo luogo- disse a se stessa.
-Aspettavo in ansia che arrivasse il mio padrone.-
Tra le auto intanto era tornato il slienzio.
-Provavo rabbia al sol pensiero che avrei finita la mia esistenza in un posto simile. Il pezzo di ricambio arrivò nel pomeriggio. Il mio padrone non mi lasciò. Quando stavamo ripartendo rividi per l’ultima volta frontali di tutte quelle macchine abbandonate ai loro destini.
Timidamente, senza farsi notare, 126 mi strizzò i fanali e Prinz sorrise.
-Avevo forse trovato degli amici, ma avevo da fare ancora tanta strada. Feci andare i tergi per non dimenticare nel saluto nessuno. Innestai la retro e sparii nel traffico, ancora fiera-