Andrei Libov aveva parlato con trasporto, liberato dall'impaccio di esprimersi grazie al buon bere. Con lacrime di passione, poetando sugli eroi di Borodinò, aveva ammutolito il pubblico becero della stamberga illuminata da provvide e numerose candele di sago; ora assaporava la bellezza della morte gloriosa in battaglia, donando la vita per la grande madre Russia. Pareva che un coro maschile, grave tenorile, al contempo basso e baritonale, pregasse nella sua mente e nella mente degli avventori rimasti rapiti dalla sua bella declamazione.
Aveva richiamato il suono dei cannoni che riecheggiavano nella piana della battaglia, il nitrito dei cavalli che emergeva dal tamburo vasto e potente del galoppare, le urla d'attacco dei francesi e quelle gloriose dei figli di Russia... e il cielo era azzurro e divino nelle sue parole.
Nel silenzo ammirato che ne seguì, un singhiozzo di risa, prima poco più che un sibilo, era esploso poi in una grassa e vasta risata proveniente da una zona in ombra dentro il locale. In coerenza con la voce, nella traccia di un lume tremulo, si era delineato un volto potente, la risata era scaturita da una bocca cavallina al di sotto di due lunghi mustacchi, un naso aquilino solcato da una ciccatrice e due occhi corvini, acuti, al riparo di folte sopracciglia poste al principio di una fronte resa infinita dalla totale calvizia, adorna di un solo lungo codino sulla nuca.
L'uomo palesò la sua possanza nella divisa dei cosacchi.
"Tu!", disse il vecchio guerriero, "tu poetino moscovita" e rise ancora con fare beffardo.
"Tu, bambolino da salotto che parli dello spirito degli eroi, della patria, della guerra, che di certo non hai mai provato, parli come se scoreggiassi fesserie!"
Aveva riso mentre con l'acutezza dello sguardo verificava l'effetto delle sue parole nell'uomo ben vestito e di modi borghesi.
Vistolo trasecolato e intimorito concluse: "io a Borodinò c'ero con il mio meraviglioso Ivan, stallone nero dagli zoccoli pelosi, la mia fida sciabola la 'buringa', le mie due precise pistole e 'filia', il mio affilato pugnale"
aveva bevuto da un boccale altro vino di patate.
"Io a Borodinò ho visto lo 'spirito', non grazie alla mia sciabola che faceva sgorgare del sangue qualunque dai petti e dalle gole dei francesi, l'ho visto dai corvi che avevano banchettato con i corpi dei russi e, non contenti degli occhi prelibati, avevano bevuto il sangue degli eroi... poi gli uccellacci neri erano tutti precipitati ebbri al suolo e mentre il mio cavallo li calpestava ne veniva un forte odore di vodka da due copechi. La vodka che aveva dato il coraggio di morire ai figli di russia"
Impugnate le due pistole che portava in cintura le aveva scaricate sulle travi del soffitto della bettola.
All'espressione livida del poeta aveva aggiunto
"...lo spirito di Russia"
poi un'altra rimbobante risata da cosacco.