Rotonda, quasi spoglia di attrezzi circensi, ma la sua base era argentea e sopra, se si alzava lo sguardo, il tetto sembrava un firmamento.
Un cielo stellato come nella notte di San Lorenzo.
La cosa che mi parve, anzi ci parve, è che noi quattro fossimo gli unici spettatori. Girando lo sguardo, tutti i sedili verdi erano vuoti. La cosa non ci spaventò, ma ci fece pensare a tutto quello che stavamo vivendo e che era davvero una sensazione unica.
Una musica iniziò a insinuarsi nel tendone.
Soave penso sia il termine adatto per definirla.
Nè lenta nè veloce, nè fragorosa nè lieve.
Le note rimbalzavano sulle pareti e iniziammo a vedere le prime figure muoversi con circospezione all’interno dell’arena.
Erano due uomini e due donne. Con loro due gabbie di forma cilindrica come dei palloni.
Con queste iniziarono a roteare entrandone e uscendone con tale grazia e velocità che rimanemmo senza fiato.
Avvolti in tute argentate sembravano davvero esseri magici, folletti di chissà quale mondo fatato o creature di mondi lontani.
Il volto era dipinto con del cerone bianco. L’unica cosa che risaltava del viso erano gli occhi azzurri che spiccavano.
Altre figure entrarono all’interno della pista.
Due di loro salirono su di un filo talmente trasparente che ci domandammo come potesse sopportare il peso. Lei aveva tra le mani un ombrello tutto rosso, mentre lui un'asta nera che gli permetteva di mantenersi in equilibrio. L’effetto ottico era davvero magico. Percorrevano in lungo e largo questo sottile filo come uccellini sui cavi della corrente.
Altre persone entrarono ancora.
Chi a cavalcioni di una bici altissima, chi con birilli e palline colorate che fluttuavano nel cielo.
Tutto questo ruotare in aria creava vortici che si riflettevano negli occhi degli spettatori.
Anche cavalli bianchi magnifici, con pennacchi posti davanti al capo, percorsero la rotondità dell'arena. Sembrava quasi spiccassero il volo come Mary Poppins con i suoi bambini, nel loro elegante galoppo.
Sul finale entrò lei.
Era un Pierrot.
Insomma, una donna truccata così.
Ma se avevo lo stesso sguardo che vidi nei volti dei miei compagni, allora penso sia stato amore a prima vista.
Era bellissima.
Minuta.
Un caschetto biondo e, posto su di esso, un cappello a punta con palline colorate incollate.
Un buffo e largo vestito che la copriva e scarpe da ballerina bianche.
Il suo sguardo, pur nella veste del Pierrot, non era triste.
Anzi.
Sembrava volesse dare amore a chi non si sottraeva al suo sguardo.
Mi sentii lievitare solo, come un ragazzo di 16 anni può essere al primo bacio che riceve.
Dopo essere disceso dalle nuvole e poggiato saldamente i piedi a terra, incrociai lo sguardo rapito dei miei compagni.
Li feci alzare non con poco sforzo.
Imboccammo ancora frastornati lo stretto percorso che ci aveva portato lì.
La musica iniziò a diminuire, mentre i protagonisti si avviavano dietro le quinte.
Trovammo ancora il Troll, ma questa volta ci indicò l’uscita e le sue uniche parole furono: - a presto ragazzi, quando ne avrete bisogno noi saremo sempre qui per voi. -
Uscimmo per strada.
La luce ci fece mettere una mano davanti gli occhi per potersi abituare.
Ci avviammo verso il nostro quartiere. Nessuno di noi fiatò per un bel po’.
Quella sera, quando mi addormentati, pensai ancora a quella giornata.
Mi dicevo che se la mattina dopo mi fossi svegliato e avessi trovato ancora quel quartiere che non mi piaceva, avrei chiuso forte forte gli occhi, stretto i pugni e sarei volato via da quel luogo.
Avrei sorvolato dall’alto tutto il mio rione.
E da lì il mio cuore si sarebbe riempito di gioia nel solo vedere ancora tanta gente per bene, bambini che giocavano felici e fidanzatini mano nella mano.
È vero. Guardare le cose da altre angolazioni fa bene.
Presi anche consapevolezza che avrei fatto di più per la mia gente e che non sarei mai indietreggiato davanti alle difficoltà.
Dopo pochi anni il volto del rione cambiò.
Non rividi più quel circo, ma a distanza di tanti anni è ancora in me.
Mi sento felice.