Nonostante gli ottantasei anni, Helène si manteneva bene. Leggeva di media un libro ogni due giorni, qualunque libro, che fossero saggi, romanzi, gialli, poesie, non aveva alcuna importanza… la sua passione era leggere, leggere, come in una sorta di terapia che la teneva viva, impegnata, conservando quella sua particolare ironia volta a sdrammatizzare i problemi e i disagi della sua età.
Quel pomeriggio non si alzò dal letto. La cosa apparve strana a Claire, la figlia, vedendo che, nonostante la sua insistenza, la madre rifiutava di assumere il suo pasto quotidiano.
Qualcosa non andava e Claire avvertì la possibilità che si fosse beccata un’influenza. Così le provò la febbre e, in effetti, la temperatura raggiungeva i 39 gradi. A quel punto chiamò il dottore che le confermò la sua venuta la mattina del giorno dopo.
“Sua madre ha una comune influenza di stagione”, disse il medico curante, “le dia della tachipirina e la faccia bere molto”.
Claire annuì e accompagnò il dottore alla porta ringraziandolo con quella speciale cortesia che le era connaturata. Ma nonostante la terapia, nulla accadde. La temperatura non scendeva, Helène rifiutava di alimentarsi e beveva a fatica.
Dopo sette lunghi giorni in quello stato senza alcun evidente miglioramento, Claire decise di chiamare il pronto soccorso e di ricoverarla.
L’ospedale le diagnosticò una polmonite latente e le furono somministrati una serie di farmaci deputati alla guarigione: CARDICOR, betabloccante – SEROQUEL, psicofarmaco – LEVOFLOXACINA, antibiotico – LIXIANA, anticoagulante – LANSOX, protettore gastrico.
La febbre scese e si stabilizzò nella norma, ma dopo quel travaso di medicinali, Helène non era più la stessa. Alternava stati di spossatezza a momenti di rabbia e di confusione inconsueti, fino alla furia. Spesso vaneggiava come in preda ad allucinazioni, tanto da non riconoscere la stessa figlia, il luogo in cui si trovava e domandandosi chi lei fosse. Insultava il personale infermieristico con sonori vaffanculo, epiteti di ogni genere e dichiarando con forza che non avrebbe mai mangiato quella merda di robaccia che le propinavano. Sembrava fosse precipitata in un incubo dal quale non sarebbe mai più uscita. “Voglio morire… lasciatemi in pace, mi fate schifo”, ripeteva ininterrottamente.
Due giorni dopo Claire venne raggiunta da una telefonata del personale ospedaliero che le comunicava l’imminente dimissione della madre. E così fu!
Helène rientrò a casa, venne depositata nel suo letto e lì rimase per alcune settimane in una sorta di continuo delirio, fino al giorno in cui si addormentò per sempre, ponendo fine a quell’agonia insensata che la moderna farmacologia, con i suoi effetti collaterali, controindicazioni e interazioni, le aveva causato nel dogma della certezza scientifica e dei profitti miliardari che le farmaceutiche accampano sulla pelle della gente.
Gianni Tirelli