Che bello correre sulla spiaggia.
Stamani ho bruciato a scuola. C’era la verifica di mate.
Avevo il mal di pancia al solo pensiero di doverla sostenere.
Ho combattuto con la mia coscienza. Per alcuni istanti.
Ma ho ceduto subito.
Bisognerebbe sentire questo odore di salsedine solo per dimenticare tutti e tutto.
Vedere le onde che si rifrangono sul bagnasciuga.
È ancora inverno ma la giornata è di sole.
Alla piccola spiaggia dove mi trovo mi ci portava il babbo quando ero piccino.
Adesso da quando è partito vengo qui da solo.
Mi dà serenità, sicurezza.
Ho propria voglia di fare qualcosa. Ma cosa?
Sono solo.
Nessuno dei miei compagni mi ha voluto seguire.
Veramente non sono molto loro amico.
Ho un carattere introverso. Mi arrabbio per un nunnulla.
Riguardo le onde.
Proverò a tirare dei sassi a loro. Come per sfidarle.
Il giubbino nonostante il freddo pungente volò per terra.
Scelsi con cura i sassi da poter lanciare.
Li volevo il più possibile rotondi.
Ma anche colorati, neri, a macchie, argentei.
Fiero come solo un pazzo avrebbe potuto essere, lo affrontai.
Il mare di fronte a me era davvero imponente.
Presi la mira stringendo tra le tre dita uno dei sassi.
Mi piegai su un fianco. Dovevo dare la giusta inclinazione per tagliare l’acqua.
Tirai con tutta la forza a mia disposizione.
A quello ne seguirono ancora uno, poi un altro e un altro ancora.
Ero quasi esausto da tanti che ne avevo tirati.
In quel momento davo le spalle al mare. Guardavo le dune di sabbia appena scosse da un leggero vento.
Il colpo fu secco dietro le spalle.
Mi girai di colpo.
Qualcosa mi aveva toccato la schiena ma non sapevo cosa.
Pensai in un primo momento fosse stato un ramo che mi era volato addosso.
Non passarono due minuti che in una strana sequenza ricevetti altri colpi alla schiena.
Mi girai cercando la causa come fosse un attacco e non sapevo da dove arrivasse.
Il mio sguardo si pose per terra.
Non volevo credere ai miei occhi.
Dei sassi identici a quelli che avevo lanciato al mare erano ai miei piedi .
Grattandomi la testa ruotai il corpo, ma intorno a me niente di diverso da quello che avevo visto nelle ultime ore.
Cosa stava accadendomi?
Ero sicuramente stanco o frastornato, ma quando lo vidi arrivare questa volta ero con gli occhi ben aperti.
Secco.
Preciso.
Quasi meglio dei miei tiri.
Mi arrivò davanti alla scarpa di ginnastica.
Era il mio primo sasso.
Quello nero che avevo lanciato dopo averlo molto ben selezionato.
Guardai verso il mare.
Qualcosa o qualcuno sembrava volesse mandarmi un messaggio.
Ma chi?
E come era mai possibile che dal mare aperto potesse giungermi indietro il sasso che avevo poco prima lanciato.
Non riuscivo a spiegarmelo.
Sentivo che dovevo fare qualcosa.
Quasi impaurito raccolsi un sasso.
Liscio, argenteo, levigato dal mare.
Impressi al colpo tutta la forza che mi era rimasta.
Iniziò a rimbalzare. Uno, due, tre saltelli.
Non vidi quando smise la sua corsa.
Ma avevo lanciato il mio messaggio. Se tale si poteva definire.
Il sasso in realtà non smise la sua corsa.
Sfiorando le onde, passando accanto a balene e delfini, superando in corsa delle navi container, si andò a posare su una spiaggia andandosi a raccogliere insieme ad altri sassi.
Qui un ragazzino di colore.
La scuola lui non sapesse neanche cosa fosse.
Il suo paese era in guerra da così tanti anni che la gente si ammazzava solo perché erano di etnie diverse.
Lui non aveva bruciato scuola. Era scappato su quel lembo di spiaggia ancora bianca per poter sfuggire alle milizie che assoldavano bambini soldati.
Aveva avuto tutta la famiglia sterminata.
Solo una sorellina era forse ancora viva, ma in mano ai soldati.
Pensava a lei spesso e tutti i giorni si auto convinceva che stesse bene.
Era l’unica persona che gli era rimasta.
Il ricordo delle sua famiglia.
Prese un sasso e poi un altro.
Li lanciò quasi con rabbia ma convinto che avrebbero potuto comunicare al mondo il genocidio che stava avvenendo nel suo paese.
Della sua impotenza di fronte a questa cosa più grande di lui.
Quei due sassi ripercorso esattamente la strada precedente.
Lambirono coste straniere, mari e atolli paradisiaci, pesci volanti che provavano a rincorrerli e albatros che avrebbero voluto prenderli nel becco.
Rimbalzarono di nuovo sulla spiaggia di dune.
Quei due semplici sassi all’apparenza insignificanti racchiudevano messaggi che incupivano il volto del ragazzo.
Il suo cuore era triste.
Pensava fosse lui quello disagiato.
Quello che non aveva amici.
Quello che era stato abbandonato da un padre troppo piccolo per affrontare una paternità.
Dovette ricredersi.
Ma era anche tanto arrabbiato.
Non riusciva a capire come potessero accadere certe cose nel mondo.
La guerra va bene, ma i bambini perché?!
Volse ancora uno sguardo al mare ma si era fatto tardi, doveva rincasare.
-Mamma,ho conosciuto un amico-
-Bravo Pietro e come si chiama?-
-Accidenti non ho domandato, domani lo farò-
-Ed è simpatico?-
-Credo-
-Come credi? Non lo hai visto in faccia?-
-No, lui abita al di là della terra-
-Capisco-, disse la mamma, scuotendo il capo.
-Domani mattina lo vedrò ancora sai?-
-Và bene Pietro, adesso vai a dormire-
La notte fu per lui agitatissima.
Voleva sapere di più.
Voleva sapere cosa avrebbe potuto fare per quello che era in suo possesso.
Nel pomeriggio del giorno dopo ritornò alla spiaggia.
Lanciò il primo, poi il secondo.
Passarono diversi minuti ma niente.
Pensò che il suo amico si fosse offeso per ieri, quando lo aveva lasciato solo.
Pensò tante di quelle cose,che solo un ragazzo può creare.
All’altro capo della terra il bambino era stato catturato.
Sulla stessa spiaggia dove dei sassi di un amico giungevano come segnale.
Di speranza e amicizia.
Un vecchio fucile gli fu fatto indossare e poi venne caricato a forza su un anonimo camion.
Era ancora buio e aveva cosi tanta paura che per tranquillizzarsi calò la mano nel fondo della tasca destra.
Un sasso nero era nascosto.
Un sasso ricevuto da un amico.
Un sasso che gli dava forza e non lo avrebbe fatto piangere.
Un sasso che avrebbe unito il mondo e permesso al ragazzo di ritornare su quella stessa spiaggia dove tutto ebbe inizio.
Ma libero.