HERODION
… dopo il consueto e terrificante urlo di battaglia che riecheggiò sinistro e amplificato dalle pareti rocciose fiancheggianti le rive del fiume, le schiere dei greci uscendo da quattro lati diversi delle loro difese, si lanciarono addosso ai fanti nemici. I pesanti scudi degli spartani e le lunghe aste di bronzo sconquassarono le fila degli stupiti persiani. Le lance greche entravano e uscivano dai loro corpi con una facilità e una velocità incredibile. I cadaveri cominciavano ad ammassarsi uno sull’altro, formando dei cumuli alti a sufficienza da creare ostacolo alle schiere persiane e nello stesso tempo offrire un nuovo riparo alle falangi greche. Assottigliato il numero dei nemici sulla sponda i greci ripiegarono dietro le trincee. Altre schiere persiane stavano attraversando il guado ammassandosi sulla riva davanti alle trincee greche, ma senza un attimo di tregua altri plotoni di greci uscirono per intercettarli e non dare loro il tempo di organizzarsi e prendere posizione. Il numero dei fanti nemici continuava, però, a crescere, sembrava non finissero mai. Da diversi punti di difesa, uscivano a turno squadre di soldati per dare il cambio a quelle impegnate negli scontri. Ci furono le prime vittime anche fra gli spartani. Colpiti da frecce e da lance scagliate da lontano i corpi dei soldati greci caddero nel fiume e molti furono quelli portati via dalla corrente. In uno degli ultimi assalti, Herodion, il giovane principe, ufficiale nelle schiere spartane rimase ferito, colpito da diverse frecce, due conficcate nella gamba sinistra, una sul braccio che impugnava la lancia. Immediatamente i suoi uomini lo circondarono formando un cerchio per tenerlo al coperto dagli assalti, ma lui ordinò urlando di ritirarsi, era inutile sprecare tante vite in una volta sola per difendere uno che ormai non poteva più salvarsi.
Si mise al centro del guado e strappate le frecce dalla carne sanguinante, mise lo scudo sulle spalle a protezione e con la spada e la lancia nelle mani si accinse ad affrontare il nemico che lo stava circondando. Si difendeva come un leone, la pesante lancia teneva a bada gli assalitori, quelli che riuscivano ad avvicinarsi cadevano sotto i colpi della sua spada. Gli stessi nemici erano sbalorditi dal coraggio e dalla forza del giovane guerriero. Si mantenevano a distanza cercando di colpirlo con le lance. A parziale difesa dalle retrovie gli arcieri greci cercavano di assottigliare le file nemiche che accerchiavano l’eroe ferito. Altre frecce lo colsero, ma lui le strappava e continuava a colpire i persiani con la lancia e la spada. Le forze però man mano lo stavano abbandonando, il sangue scorreva copioso dalle numerose ferite che lo stavano indebolendo sempre di più. Cadde in ginocchio e ancora tentava di tenere a bada i fanti, ad un certo punto, nonostante le ferite, fra lo stupore degli stessi nemici, si fermò. Lasciò cadere le armi e si accinse a togliersi l’armatura, i persiani colpiti da questo gesto e per una sorta di silenzioso rispetto si fermarono a distanza a guardare.
Con notevole sforzo, lentamente riuscì a sfilare la pesante corazza di lame di cuoio che indossava e si mise a torso nudo. Il suo corpo era una maschera di sangue. Le numerose aste di frecce che lui stesso aveva spezzato, gli davano l’aspetto di un orso irsuto. Sostenendosi con la spada come un bastone, si erse in tutta la sua statura e , rivolto al cielo, invocò il grande Zeus
- oh! Padre Zeus, ecco questo è il mio petto, il mio cuore, questa è la mia vita, la offro a te in segno di ringraziamento per avermi permesso di morire da Spartano. Salva i miei compagni e la nostra amata patria. Tu padre degli Dei e di noi mortali fa che il mio nome non sia dimenticato.
Stette ancora l’eroe, eretto ad invocare il suo Dio, poi rivolgendo lo sguardo ai suoi assalitori esclamò:
- Empi codardi, venite ad affondare le vostre lame nel mio petto, è vostro! Che possiate vantarvi, da sciacalli quali siete, di aver ucciso un principe spartano, venite iene maleodoranti! Buoni a colpire solo prede indifese… così muore uno sparta…
Le ultime parole non riuscì a pronunciarle, i fanti dai lunghi vestiti, passato l’attimo di stupore, si erano fatti avanti per concentrare la loro rabbiosa impotenza contro quel corpo ormai senza vita, martoriandolo con le lance. Vinto, il corpo del giovane eroe era disteso al suolo sul suo scudo che ancora gli proteggeva le spalle, le ferite che lo avevano ucciso erano tutte sul petto. Dimostravano che aveva affrontato la morte a viso aperto e con onore di fronte al nemico. I greci, da dietro i ripari, avevano assistiti frementi allo scempio e nel momento, che lo videro cadere in un impeto di furia vendicatrice si spinsero fuori urlando con ferocia facendosi largo fra la fanteria nemica. Quelli che ancora si accanivano sui poveri resti del giovane, furono trucidati e fatti a pezzi dalla furia dei soccorritori. Questa volta non erano usciti dalle trincee per difendersi, ma per attaccare e fare strage di quelli che avevano infierito sull’eroe.
Quattro di loro recuperarono il corpo martoriato, sottraendolo all’oltraggio dei nemici, mentre gli altri decimavano i responsabili. La furia dei greci fu di breve durata ma molto cruenta. Il suono del corno li indusse a ritirarsi dietro le difese, non prima di aver sferrato l’ultimo attacco alla fanteria nemica.
Dopo quest’episodio ci fu un momento di tregua, nel quale anche gli ufficiali persiani, ancora scossi per la violenza della sortita spartana, mandarono uomini a recuperare parte dei loro feriti. Al tramonto di quell'infausta giornata dal campo greco si levò una nuvola di fumo nero, che si confuse con le prime ombre della sera, mentre, un clamore infernale si spandeva per tutta la valle, il battito delle spade sugli scudi dei compagni rimasti, l’estremo saluto al giovane principe ha aveva dato la vita per la patria. Dall’alto dell’Olimpo il grande Zeus levò in alto il calice d’ambrosia in segno di riconoscimento al valore dell’eroe che era morto con il suo nome sulle labbra.