Un magnetofono e un microfono.
Era tutto quello che mi occorreva.
- Stazione di Osimo ore nove e quaranta, diretto per Ancona in transito.
Bordo del fiume e suo fluire dell’acqua bassa con girini gracchianti.
Giornata di pioggia battente su strada.
Vento da Ponente che soffia -
Io ero quello che catturava i rumori.
Questa passione era nata per caso.
Avvenne in una giornata che vorrei dimenticare perché non piacevole da ricordare.
Avevo dodici anni e avevo litigato col babbo.
Scappai da casa verso la campagna in cerca di solitudine.
Sul mio cammino invece trovai una buca profonda e vi cascai dentro.
Le ricerche andarono avanti diverse ore prima di ritrovarmi.
In quel buco ebbi tempo di riflettere.
Ma anche di ascoltare.
Ascolti di silenzi, di sospiri, di fremiti di ali e foglie vibranti al vento.
Entrarono pian piano nella mia testa, collocandosi come in un database.
Tutto ben catalogato come era la mia indole.
Anche agli altri ascolti fui attento.
Animali notturni e diurni.
Voli aerei e trebbiatrici.
Autostrade ingolfate e ciminiere sbuffanti.
Sportivi affannati e bambini festanti fuori da scuola.
Scrosciare d’acqua dal rubinetto e mare in tempesta.
Mulini a vento cigolanti e saldatrici luminose.
Baci appassionati e schioccanti.
Ognuno di essi emetteva suoni o rumori unici.
Tutto aveva il suo fascino irripetibile e non trascurabile.
Cominciai a raccogliere tutti questi rumori su nastri magnetici che poi riascoltavo nel silenzio della mia stanza.
Perché lo facessi non era ben chiaro.
Sembrava un qualcosa di predestinato, un percorso che dovevo compiere nella mia vita.
Cosa potesse o dovesse darmi, anche questo non era chiaro.
Ma la cocciutaggine insita in me mi fece proseguire nella catalogazione.
Gli scaffali che arrivavano fino al soffitto erano zeppi di nastri, tutti ben ordinati in un ordine maniacale, che seguiva un rigoroso indirizzo alfabetico.
Quando fui chiamato dal dott. Strambelli, direttore di un istituto fonetico e collegato alla produzione di cortometraggi, rimasi alla fine della telefonata muto e rigido.
Il mio sguardo da ebete lo sentivo addosso.
Non avrei mai immaginato che qualcuno sapesse di me.
Che qualcuno sapesse del mio lavoro ormai decennale.
Era giovedì mattina che entrai nell’istituto e percorsi un corridoio stretto e lungo.
Sulle pareti foto di tutte le mini produzioni.
Animali, siti archeologici, fabbriche dismesse
Grandi montagne, praterie sconfinate
Sentivo passando quasi il loro odore, il respiro del vissuto.
Mi fermai davanti a una porta con la scritta “Non Entrare”
Tre colpi di nocche.
Uno scatto metallico e si spalancò.
Un omino dagli spessi occhiali mi fece entrare muovendo la mano verso di se.
-Faccia vedere cos'ha lì dentro-
Rovesciai sul tavolone tutte le mie registrazioni.
La stanza era buia e l’omino iniziò a leggere i titoli sotto una luce fioca di una lampadina.
Ne scelse una.
Aprì il registratore e fece partire il suo filmato.
Era un airone che volteggiava nel cielo della Sardegna del carbone.
I miei suoni catturati erano in combinazione perfetta con quel video.
Pensai fosse un alchimista quell’uomo.
La combinazione tra le due cose aveva creato un qualcosa di bello.
Avido, l’omino cominciò a chiedere, a scartabellare riprese sonore.
Sembrava cercasse il rumore perfetto.
Aveva qualcosa in mente che non mi aveva detto.
Il suo sguardo fu catturato dalla registrazione di due anni prima in una zona del centro Italia dove nidificava un particolare volatile.
Erano suoni catturati in un contesto difficile.
La modernità stava soppiantando la natura.
Fabbriche rumorose si combinavano ai suoni della natura in maniera stridente, quasi come affondare coltelli nel corpo indifeso.
Ne fu conquistato.
-Questo va bene-, mi disse congedandomi.
Non seppi di lui per almeno un mese, quando mi arrivò una altra telefonata dall’istituto
Mi chiedeva di recarmi lì.
Non mi fu detto il perché.
Quando arrivai fui fatto accomodare in una saletta e un filmato partì all’improvviso.
Riconobbi subito i miei suoni.
Erano come dei figli per me.
Anche qui, quel semplice omino occhialuto fece un capolavoro
Le immagini che scorrevano senza dialoghi, serrate, decise, significative, danzavano con quei rumori che ero riuscito a catturare.
L’emozione fu davvero tanta, ero e rimasi inchiodato alla sedia fine alla sua fine.
Quando le luci si accesero un nugolo di persone si alzò in piedi e applaudì il mio lavoro.
Non trattenni le lacrime.
Il lavoro di tanti anni, così solitario, riservato, era venuto a galla.
Altre persone avrebbero potuto farlo loro.
A questo non ero pronto.
Ero sempre stato io e il mio magnetofono, che consideravo il mio terzo orecchio.
Il produttore del cortometraggio mi si avvicinò e volle stringermi la mano.
Io con fare goffo ricambiai e venni sostenuto subito dal dottor Strambelli.
Lo stesso disse, rivolto al produttore:
- Sono felice di poterle presentare l’uomo dei rumori-