Il ritmo della musica era incalzante e i fuochi, quella notte, erano alimentati da una leggera brezza che arrivava dalla gola denominata “del diavolo”.
Accanto vi scorreva un piccolo fiume e al centro dello spiazzo un albero di noce secolare era saldamente piantato.
Intorno a esso un gruppo di donne danzavano un ballo ancestrale che sembra risalisse alle tradizioni dei tarantolati, dove si entrava in una forma di trance e il corpo veniva posseduto dal diavolo.
Le luci non permettevano di vedere bene i volti delle donne, ma forse non era importante per quello che sarebbe accaduto poco dopo.
Uno stridere di rami secchi mise in allarme le donne, che sapevano che quello che stavano compiendo avrebbe potuto portare loro dei guai. Si arrestarono e attesero l’avvicinarsi di quelle due figure.
- Signore streghe non abbiate timore, sono Besonzia. Non sono sola, mi accompagna anche la strega Ernesta. Quest’ultima è accompagnata da me perché ha una richiesta da farci, quella di far parte della nostra congrega. Vieni avanti, presentati. -
- Ehmm, ecco, sì insomma. Salve! Il mio nome è Ernesta. La mia professione? Forse è meglio lavoro? Hobby? Oh mannaggia, insomma, io sono una strega. E sono qui per, per chiedervi, sì, chiedervi di entrare nel vostro gruppo? Team? Congrega? Sì, congrega! Fiuuuuuuuuuu. -
La presentazione non si può certo dire che fu esemplare. Le altre streghe infatti si diedero delle occhiate interrogative e non solo. Chiesero lei se fosse veramente intenzionata a compiere quel passo.
L’approvazione fu totale, ma il modo per arrivarci fu lungo, molto lungo, e gli intoppi e i dubbi notevoli.
Salterei questa parte.
La prima richiesta per poter entrare nella loro congrega era quella di sacrificare un gatto nero bevendone il sangue.
La maga Ernesta disse: - E qual è il problema! -
Ma nel momento in cui l’animale le fu posto davanti per compiere l’atto, senza accorgersene schiacciò la coda di questo con i suoi stivaletti a punta, che avevano anche tacchi molto appuntiti.
Il gatto, dopo essere balzato in aria di diversi metri, rizzando i baffi e sgranando gli occhi sparì via con tale velocità che neanche un radar avrebbe potuto averlo sul suo monitor.
Le streghe per l’ennesima volta si guardarono. Pur sconfortate, diedero ancora possibilità a Ernesta di poter essere una di loro.
Essendo sopraggiunta mattina, non gradita dalle streghe, rimandarono il tutto alla sera dopo. Diedero però un compitino da fare ad Ernesta: preparare una pozione magica, con lo specifico incantesimo per rendere la persona che la avesse bevuta un maiale. Per un periodo breve, ma un maiale.
Dopo essersi congedate dalle signore streghe, Besonzia ed Ernesta ritornarono da dove erano venute, inoltrandosi nel fitto bosco. Tornando verso casa, la mente della strega intanto macinava idee di come avrebbe potuto risolvere il compito datole.
Giunta davanti alla capanna in cui viveva un corvo spennacchiato le intimò l’alt.
-Chi sei? Cosa vuoi? -
Lei rispose con un tono secco: - Taci vecchio corvo, o dovrò comperarti un paio di occhiali. Non vedi che sono io? -
Il vecchio corvo ripiegò la testa fra le ali come vergognandosene e tacque per tutta la sera.
L’interno della capanna era angusto e la luce assai fioca. Certo,una volta entrati, gli occhi si abituavano a quell’oscurità, meno tollerante era la puzza al suo interno. Oltre ad essere maldestra Ernesta era anche disordinata. sovente capitava che resti di cibo o esperimenti mancati balzassero fuori all’improvviso. Ma quella mattina stava albeggiando e le ore che la dividevano all’appuntamento più importante della sua carriera erano poche.
Prese a frugare tra tutte le ciotole, barili, insomma qualsiasi contenitore che potesse contenere gli ingredienti specifici per la richiesta fattale.
Il libro di cuoio nero della magia occulta era stato aperto a pagina 1786. Diceva:
"La preparazione per un maleficio suino è la seguente: alcool, gocce di ebano, foglie di cipresso, bacche rosse con spine al seguito, essenza di corbezzolo e per ultimo, ma non di meno, peli di codino del suddetto suino."
Ma la sorte volse le spalle anche questa volta a Ernesta, i peli del suino caddero sull’imboccatura della fiala senza entrarvi e al loro posto entrarono due dei suoi capelli. Chiusa la fiala con un piccolo tappino di sughero e avvolta da un panno scuro, pose il tutto sul suo tavolone di legno e andò a coricarsi.
Svegliatasi alle prime ombre della sera si preparò di tutto punto, tirando fuori dall’armadio il suo abito migliore che sapeva in maniera intensa e inebriante di naftalina.
Sentì bussare, era Besonzia.
- Sei pronta? -, le disse, -Dai andiamo, ci stanno attendendo. -