Mi ero alzato strano quella mattina e non capivo il perché
La notte avevo dormito poco
Avevo sognato, ma anche fissato il mio orologio sul comodino
Continuamente
Tutti quei numeri che avanzavano senza sosta mi avevano agitato
Ma anche fatto riflettere sul tempo che, a dispetto di tutti, proseguiva la sua corsa
Noncurante
Inesorabile
Senza mete particolari
Nè colore nè forma
Ero talmente stordito che la caffettiera eruttò, senza darmi tempo di limitarne i danni
Dalle vetrate del mio venticinquesimo piano vedevo tutta la città
Ci appoggiai la fronte
Il sole quel giorno aveva tutta l’aria di rifiutarsi di mostrarsi
E le strade erano una lunga scia di lampi di luce
Un lungo canyon caotico
Mentre gli alti palazzi delineavano rette infinite
Nessuna svolta improvvisa, nessuna sorpresa, emozione o distrazione
Presi come un automa il mio classico completo grigio dall’armadio, scarpe nere
Con una piccola trasgressione alla cravatta a tinta unita
L’ascensore mi portò al garage
Accesi il motore e mi diressi verso l’ufficio
Anch’esso al trentesimo piano di un identico edificio
La radio trasmetteva l’ennesima notizia di un attacco di guerra
Altri bambini inermi avevano perso la vita
Clacson intimidatori percuotevano la strada su precedenze non dovute
Le proteste che duravano da giorni facevano eco alla lotte degli afroamericani
Mentre prostitute più giovani cedevano il posto a quelle anziane
Mi ero alzato strano quella mattina e non capivo il perché
Il mio corpo ero scollegato dalla testa
Quello che vedevo non mi piaceva
Quello che facevo non mi piaceva
Quello che dicevo non aveva alcun senso
Quando mi ritrovai sul ponte che mi avrebbe portato nella zona dirigenziale
un cartello attrasse il mio sguardo
Di quelli indicanti località turistiche
Con montagne irregolari color verde scuro
Un brusco colpo allo sterzo
Una frenata dell’auto dietro di me
Imboccai quella strada
Dallo specchietto retrovisore vidi piano piano allontanarsi la città
Sempre più piccola
Fino a sparire
Percorsi diversi chilometri e le abitazioni cedettero il posto ad alberi
Alcuni corsi di fiumi scendevano a valle, arrivando da un unico punto di partenza
Forse stavo andando dove tutto nasceva
I cartelli indicavano la località turistica più famosa della zona
Ma la mia meta sentivo fosse un’altra
Tirai dritto
Uno di questi, scalcinato, ormai consumato dal tempo, fu quello che imboccai
Una strada non battuta da anni
Era forse la strada giusta
Mi ero alzato strano quella mattina e non capivo il perché
Ma mi stavo rasserenando
La strada correva lungo un fiume montano
Da limpide acque fragorose
Gli schizzi arrivavano su parabrezza e la frescura aumentava
Sembrava una purificazione da quello da cui venivo
La cravatta a tinta unita era volata sul sedile di dietro
Quando arrivai alla fine della stradina mi paralizzai
Fermai la macchina avvicinandomi al vetro
Scesi
Nessuno palazzo, né tantomeno lunghe scie di luci
Né Il cielo privo di grigio e incroci che non ti facevano mai ritrovare
La radura era davanti a me
Alberi alla vista giganteschi
Sembravano famiglie immobili, proiettate con i loro rami verso il cielo
Abbandonai la macchina
Scelsi di andare a sinistra
Il canyon mi stava per inghiottire
Sentivo che stavo lasciando qualcosa alle mie spalle
Ma non avevo timore
La curiosità mi dominava
Le rocce avevano fiori meravigliosi attaccati a esse
Ero circondato da pareti frastagliate di color rosso che ospitavano nidi
Da uno di essi si staccarono in volo due uccelli
Il loro stridere era forte, sicuro
Nessun timore gli apparteneva
Gli occhi al cielo mi fecero riconoscere una coppia di aquile
Possente lui e aggraziata lei
Iniziarono a volteggiare con maestria
Feci in tempo a vederne gli occhi, o almeno me ne convinsi
Occhi spalancati, cerulei
Con quegli stessi occhi dominavano l’aria
Ammiravano quel sole e la stessa terra che lo inghiottiva
Non avevano padroni se non se stessi
Ne imitai il volo spalancando le braccia e correndo verso il nulla
Ero felice
Nessun telefono, se non i rumori spontanei della natura
Nessun uomo calpestato da logiche economiche, se non badare a scansare i fiori sul mio cammino
Gli orologi qui non erano utili
Tutto era dettato da una armonia ben definita
Quando diedi l’ultimo sguardo alle mie spalle, alla mia vita
Non provai distacco, nè rimpianto
Il corpo e la mia anima avevano già deciso
Fui inghiottito da esso
Capii solo allora perché mi ero alzato strano quella mattina