Natalia indossava un vestito verde con ricami bianchi e i suoi capelli, animati dal vento, sembravano aver vita propria. Stava seduta da ore su quello scoglio e il mare, come sempre, risultava essere il suo unico amico; l’ascoltava, gridava con lei, cercava di spronarla ad essere forte quanto lui. Quel giorno, però, sembrava tutto più difficile. La ragazza fissava il cielo, non piangeva, non muoveva nemmeno un muscolo, pareva tramutarsi in parte integrante del paesaggio. Da tempo non cercava più di dare un senso a ciò che le stava succedendo, sembrava essersi rassegnata a un’esistenza problematica. Era sempre stato così, fino al giorno in cui aveva incontrato Dimitri.
Era il 15 maggio e come ogni primavera Natalia dedicava il tardo pomeriggio alla lettura di testi francesi; storie di guerre, di amori impossibili, di tradimenti, tutte divorate con passione dalla giovane lettrice. Sua madre, Eveline, era francese e dopo il divorzio, avvenuto quando Natalia aveva appena cinque anni, era tornata a stare dai suoi genitori a Marsiglia. Il suo nido era drasticamente cambiato e c’erano voluti mesi per abituarsi alla nuova situazione. Voleva bene a suo padre e non le dispiaceva vivere sola con lui, ma contemporaneamente si sentiva abbandonata, rifiutata, di poco valore. Una sensazione che, pur provandoci, non riusciva a togliersi di dosso. Si era sempre sentita inadeguata, perciò cercava di starsene in disparte il più possibile, lontano da quella folla che sembrava così agguerrita, determinata e tremendamente “giusta” rispetto a lei. Così si rifugiava nei libri, specialmente nei grandi classici, lasciandosi accarezzare da quelle parole che raramente giungevano alle sue orecchie e forse anche per questo sembravano le più belle al mondo.
Quel giorno decise di trascorrere il momento di lettura nel suo giardino, protetta dall’ombra di quei maestosi pini mediterranei. Stava leggendo solo da mezz’ora, quando un rumore la fece trasalire: sembrava che ci fosse un animale nei paraggi, o forse due, a giudicare dai rami che sentiva spostarsi. All’improvviso apparve un ragazzo, con la manica sinistra della t-shirt completamente strappata, e subito dopo Dado, il rottweiler del vicino di casa.
“Dado! Dado, fermati! Basta, vieni qui! Qui, bello!”
Fortunatamente aveva una certa confidenza con il cane, avendoci giocato fin da quando era solo un cucciolo, piccolo e decisamente innocuo, quindi l’animale seppur decisamente controvoglia ubbidì al richiamo, e le si avvicinò.
“Bravo, bravissimo Dado. Buono, su.”
Il ragazzo, visibilmente provato dalla lunga corsa, si sedette sul prato e ancora ansimante le rivolse quello che in condizioni normali sarebbe stato un sorriso. “E’ tua quella belva?”
“No, ma il suo padrone abita qui accanto. Tutto bene? Ti ha fatto male?” disse avvicinandosi.
“Stavo raccogliendo delle more ed è spuntata la sua testaccia. Si è attaccato al braccio, ma niente di grave. Per fortuna ho trovato te, non avrei avuto ancora molta forza per correre.”
Natalia gli era ormai a distanza di qualche passo e il ragazzo senza nome si tolse la maglietta: il petto che le si mostrava era sostanzialmente senza muscoli, asciutto e al limite della magrezza salutare.
“Scusa, sono sudatissimo e sto morendo di caldo. Madonna, che fatica!”
Natalia si chinò su di lui, per constatare se fosse veramente tutto ok come diceva.
In quel momento, alzando lo sguardo dal braccio, incontrò i suoi occhi verdi che, come smeraldi, sembravano luccicare appositamente per attirare l’attenzione. Ne restò incantata, quasi intimidita. Intanto i capelli biondi scompigliati cadevano su un volto che non si sarebbe fatto scordare tanto facilmente.
“Vieni, ti preparo qualcosa da bere.”
In quelle due ore che seguirono Natalia imparò più cose su di lui di quante effettivamente ne sapesse della sua migliore amica. Dimitri era un fiume in piena, non si soffermava su frasi di cortesia e parole vuote, diceva solo ciò che pensava realmente aggiungendo pezzi di sé, della sua vita, come se si conoscessero da sempre.
Nei giorni successivi ripensò continuamente a quell’incontro e se durante il giorno aveva validi passatempi a tenerla occupata, la notte era tutta un’altra storia; passava ore a rigirarsi nel letto, scorrendo tra le canzoni del suo mp3 alla ricerca di parole che descrivessero ciò che stava provando. Non le era mai capitato di sentirsi in quel modo.
Si rividero dopo una settimana, al mercato, e anche quella volta parlarono a lungo. A sua volta Dimitri era rimasto affascinato dal modo di fare di Natalia, che gli pareva un raggio di razionalità nel suo sentiero disordinato e folle. In poco meno di tre settimane nessuno dei due era in grado di stare più di un giorno senza l’altro, quasi fossero una cosa sola.
Così, passati i mesi e con l’inverno che era di nuovo sceso su Messina, tutto appariva a Natalia sotto una luce diversa, positiva. Non desiderava più essere come gli altri, sapeva di essere diversa e ne era felice: finalmente, dopo anni di lotte interne, si sentiva apprezzata nella sua interezza. Frequentava il liceo classico di mattina e tutti i pomeriggi, cascasse il mondo, dalle cinque in avanti era di Dimitri.
Questo finché, in una giornata d’aprile apparentemente come le altre, una macchina, una bmw blu scuro seppe dopo, investì il ragazzo che si recava da lei in bicicletta. L’ambulanza, la corsa in ospedale, le preghiere urlate al cielo non servirono a nulla: Dimitri si era spento e con lui tutta la sua poesia e la sua luce.
Natalia si era ritrovata urlante di dolore per un’intera notte e ora se ne stava a fissare il mare. Si sentiva vuota, come se una parte di lei fosse svanita qualche ora prima. Si domandava come potesse respirare ancora e si sentiva paralizzata. Era a terra, non guardava più con occhi sognanti verso il futuro, non le importava un accidente di chi era e di chi sarebbe diventata.
Semplicemente abbandonata, ancora una volta.