Bussai alla porta del Comandante di Compagnia, una voce tuonò: "Avanti!", e col cuore in gola entrai nell'ufficio.
Il capitano se ne stava tranquillamente seduto a una scrivania ingombra di carte a fumarsi un sigaro e andai nella sua direzione, sbattendo dapprima il tacco e unendo le mani a paletta sugli attenti.
«Comandi! Sono stato messo a rapporto da lei!», esordii con espressione insicura.
«Stai su riposo!», mi ordinò e io obbedii.
L'ufficiale, dando brevi boccate al sigaro, mi guardò intensamente per alcuni secondi e infine appoggiò il cubano ancora acceso sul posacenere.
«Stai sereno, non ti mangio mica!»
Presi un respiro profondo, cercando di rilassare i muscoli tesi, e poi espirai.
«Aspettavi la licenza, eh?», ironizzò.
Non sapendo come rispondere, scrollai educatamente le spalle.
«Ebbene caro mio, ti ho convocato per un motivo ben preciso...»
Si interruppe di colpo per soffiare via della cenere del sigaro che si era andata a depositare su delle scartoffie, mentre la mia impazienza cresceva.
«Abbiamo gradito in particolar modo il tuo ottimo operato.»
Quella frase mi aveva piacevolmente spiazzato, tant'è vero che restai a bocca aperta.
«Tra l'altro sei l’unico a non aver collezionato neanche una consegna e non hai nemmeno piagnucolato per la destinazione. Figurati che, giorni prima dell'Operazione Domino, parecchia gente mi rompeva continuamente le palle per essere piazzata nelle località che meglio conveniva a loro», aggiunse.
«Capitano, vede... ho soltanto...», farfugliai non riuscendo a trovare le parole giuste.
«Hai fatto più del tuo dovere ed è per questo che ci tenevo a darti personalmente la licenza», espose, e da un cassetto della scrivania prese l'attesissimo foglio di carta, timbrato e firmato sia dal Comandante di Battaglione, sia dal Comandante di Reggimento nonché da lui stesso.
Quest’ultimo si alzò in piedi, nonostante le bellissime parole mi sentii piccolo piccolo davanti a quell'uomo alto e dall'aspetto formale. Non riuscivo proprio a crederci.
Mi consegnò l’agognato documento e mi volle stringere la mano, una stretta fortissima e vigorosa.
«Molto bene soldato, davvero molto bene. Ogni tanto mi stupisco anch'io in questa caserma del cazzo!», concluse facendomi cenno che potevo andare.
Lo ringraziai mettendomi sull'attenti e, dopo un passo indietro, eseguii un dietro-front uscendo dalla stanza del Comandante di Compagnia.
I miei occhi diventarono lucidi all'istante, una pienezza interiore difficile da descrivere.
Nel cortile mi aspettavano due miei colleghi impiccioni per sapere cosa fosse successo. Non avvertii la necessità di spartire le parole lodevoli espresse dal capitano Mottola, infatti misi in pratica un aforisma di mia creazione:
È controproducente condividere le cose con altri, più te le tieni per te, più diventano preziose!
Mi limitai a dire che mi avevano aggiornato sul prossimo trasferimento in Compagnia Controcarri, una comunicazione tra l'altro vera in base alle disposizioni che mi furono segnalate all'inizio dell'Operazione Domino, e che la licenza era stata dimenticata nell'ufficio del capitano.
Tornai in camerata e, anziché preparare i bagagli per tornare a casa, mi sedetti sopra una branda qualsiasi per godermi in santa pace l’enorme gratificazione ricevuta.
Non mi ritenevo ambizioso e affamato di vanagloria, ma che provavo a fare del mio meglio con grinta non posso che confermarlo. Da quel giorno in poi cominciai a credere in me stesso.