Mi sveglio intontito e ci metto un po' a capire che non è un sogno: il mondo è sconvolto dalla pandemia, ho perso il lavoro e non vedo la fidanzata da due mesi. Apro il frigo, vuoto. Devo uscire a fare la spesa: questioni di necessità.
Indosso mascherina e guanti ed esco.
Dal balcone la mia vicina fissa torva tutti quelli che vede per strada. Temo voglia insultarmi, o tirarmi qualcosa, ma resta ferma come una cariatide. Poi scorgo tra le sue mani il cellulare: mi sta riprendendo. Userà il video per denunciarmi su NextDoor. Spero che il mio dito medio si veda, in quel video.
La strada è deserta, ovviamente. Il cielo è limpido, il sole caldo, l'aria sa di primavera. Una giornata perfetta per una gita fuori porta. Che non si può fare.
Mi incammino verso il supermercato di zona, saranno trecento metri. Svoltato l'angolo incappo in una pattuglia di carabinieri.
"Dove sta andando", dice uno di loro in tono più di accusa che di domanda.
"Vado a fare la spesa", rispondo, rimarcando l'ovvietà della risposta.
"Mi faccia vedere l'autodichiarazione".
Frugo tra le mie tasche alla ricerca del maledetto foglio, e mi accorgo di essere ancora in pigiama, niente in tasca.
"Mi mostri i documenti, prego". L'ufficiale inizia a innervosirsi, appoggia la mano sul manganello.
Non ho nemmeno i documenti. Ho in mano le chiavi e la carta di credito. Nient'altro.
Mentre già immagino di finire in una cella puzzolente e senza finestre e prendere, ironicamente, il colera, una voce familiare mi rincuora.
"Gianni, ma cosa ci fai in giro così?". È mia sorella Laura. Fa il carabiniere.
La tensione si scioglie in un istante, partono le battutine cordiali, tutti ridono. Mia sorella si offre di scortarmi fino al supermercato per evitare altri problemi.
La coda inizia prima che si possa vedere l'insegna.
"Ne avrai per un paio d'ore", dice Laura.
"Per fortuna ci sei tu a tenermi compagnia".
"Purtroppo devo andare, è quasi ora di pranzo e devo ancora infornare le lasagne".
E resto solo. Con altre duecento persone in fila.
Passano i minuti e mi avvicino lentamente all'ingresso. Dietro di me sempre più persone. La guardia scandisce i numeri di chi deve entrare. Mi rendo conto di non avere nessun numero. Mi avvicino per chiedere dove si prende.
Vengo spinto: "Rispetta le distanze", urla una persona di fianco a me con in testa un paio di mutande rosse sotto cui si vedono due occhi rabbiosi. Dietro di me altre persone si avvicinano. Iniziano ad alzare la voce, a spingersi, parte il primo pugno. In un attimo scoppia una rissa. Tento di correre ma le gambe si muovono troppo lentamente. Vengo spinto, strattonato, buttato a terra. Una donna con gli occhi da pazza mi si butta addosso, peserà duecento chili, il suo corpo gelatinoso mi ingloba, mi toglie il respiro e sento i polmoni scoppiare. Mi afferra la testa e con un ringhio bestiale affonda i denti nel mio collo staccandomi la carotide. Mi sveglio di soprassalto senza fiato, bagnato di sudore. Era solo un brutto sogno.
Devo smetterla di guardare film di zombie la sera.
Vado in bagno barcollando, poi in cucina. Apro il frigorifero strizzando gli occhi per la luce abbagliante. È vuoto.
Penso che prenderò un cappuccio al bar, ma come un macigno la realtà mi piomba addosso: il mondo è sconvolto dalla pandemia, ho perso il lavoro, non vedo la fidanzata da tre mesi e i bar sono chiusi.
Fa terribilmente freddo e sono scosso da brividi incontrollati. Respiro ancora a fatica per la paura di prima. Ho bisogno di un caffè caldo e l'unica opzione è fare la spesa. Prendo la carta di credito ed esco.
La mia vicina è sul balcone. Guarda nel vuoto, non si muove. Sembra mummificata, forse lo è. Trascino le mie ciabatte lungo il marciapiede, i pantaloni del pigiama che raccolgono resti di escrementi. Giro l'angolo. Tre militari, di spalle, stanno controllando una persona. Il più vicino è alto quanto me e ancora non mi nota. Mentre striscio i piedi verso di lui la vista mi si appanna. Ho caldo e freddo insieme. Ho sete. Ho bisogno di qualcosa di caldo. Devo bere qualcosa di caldo subito o sento che morirò! Trascino un altro passo verso il militare, che si gira. Un guizzo di stupore, paura e rassegnazione nei suoi occhi mentre affondo i miei denti nella sua carotide, succhiando quel liquido caldo e dolce.