Oggi non si trova più nessuno a continuare questo mestiere perché i tempi sono cambiati e la globalizzazione, il mercato, porta ogni prodotto nelle tavole dei consumatori a prezzi più ridotti possibile, vuoi per la commercializzazione industriale, vuoi per far arrivare al consumatore un prodotto più perfetto esteticamente. Infatti il pipittone, il cedro, oggi è il risultato di alchimie chimiche, così come vengono trattati tutti i prodotti agroalimentari che devono soddisfare diversi parametri come l’estetica, la qualità e la dimensione prezzo concorrenziale. E quindi è facile incontrarli nel reparto ortofrutta di un iper-magazzino, insieme a tutti gli altri prodotti importati e non come risultato delle politiche mondiali commerciali e concorrenziali. È normale incontrare agrumi che un tempo erano lo splendore della conca d’oro e che erano il vanto di tutta un’economia isolana conosciuta nel mondo, frammisti a quelli che arrivano dall’area mediterranea dell‘Africa, o che sono il risultato di sperimentazioni agricole in serra o in altre dimensioni climatiche artificiali. E il pipittunaru, il venditore di cedri da consumare in loco, è ormai scomparso.
Era sempre un “signore”, con tutti i crismi del venditore professionista: grembiule, cappello e coltello affilatissimo, che sapeva scegliere i frutti più grossi, tagliarli e offrirli ai clienti con tutta la sua “pappa” fresca di frigorifero e che riusciva a dissetare nei giorni di calura estiva forse meglio di una granita e a saziare come una fetta di carne “vegetale”.
Da Trabia arrivava anche una produzione di eccellenza, tanto che la variante era il “pirittuna". Provieniente dall’Asia sudorientale, probabilmente da India e Birmania, è persino citato da Plinio il Vecchio, classificandolo nella sua Naturalis Historia. E di questo Pierino se ne vantava sempre.
“I mei arrivano da Trabiama, cci sunnu puru chiidi Palermitani e sunnu ruci comu u zuccaru. Mittiticci u sali e manciativilli a stricasali”, abbanniava il ragazzo davanti lo stadio “Renzino Barbera”, mentre i tifosi si approssimavano per entrare allo stadio ad assistere all’incontro di calcio del Palermo Football Club.
Era un rito domenicale. Un pezzo di pipittone per portare fortuna alla squadra del cuore! E a volte il sortilegio riusciva, tanto che ci fu un anno che il Palermo era riuscito a salire in Serie A.
Poi, poco a poco, la bancarella non ci fu più. Pierino ora bazzicava fra i lidi di Mondello per vendere il suo pipittone palermitano. E con il passare del tempo, fra fast-food all’americana, ristorantini cinesi e rosticceria per tutta la notte, il pipittunaru non ci fu più.
E per anni lo abbiamo cercato, sperando che il Palermo potesse risolvere i suoi problemi finanziari e di marketing calcistico e ritornare in serie A.