Alle 6.10 di ogni mattina apriva la finestra. Solo un poco, quel tanto che bastava, dal suo ultimo piano della elegante casa milanese, per vedere quel tratto di strada. Quasi duecento metri, per vederla passare.
Nonostante l’altezza del piano, il silenzio imposto dal lockdown faceva arrivare fino a lui il rumore ritmato e sempre più vicino dei tacchi di lei sul marciapiede, mentre dal semaforo si avvicinava alla sua finestra per poi sparire voltato l’angolo.
Una donna stupenda, forse vicino alla quarantina: una bellezza mediterranea.
I capelli diversi ogni giorno: a volte raccolti, più raramente sciolti, ma sempre mossi per quel suo incedere sostenuto, quasi veloce. Era vestita semplicemente, quasi modestamente tutti i giorni, ma quel suo portamento, fiero e al contempo aperto, le conferiva un‘aria di freschezza, di novità tale da renderla, come dire, “alla moda”, elegante!
Non sapeva altro di lei se non quella camminata, quei duecento metri a piedi verso di lui che la guardava, non visto, dalla finestra, sentendo salire una gioia e un'emozione forte, quasi un urto. La sua camminata era tutt’uno con la sua persona che lasciava trasparire una felicità, una compiutezza, un senso della meta (ma chissà dove era diretta ogni mattina?) che lo contagiavano!
Il viso, che poteva vedere bene solo per pochi secondi, era sempre come in attesa di un imminente e fragrante sorriso, come per una notizia inattesa ed entusiasmante, o forse per una battuta spassosa.
Perché era così felice? Perché era così pienamente compresa nel suo incedere? Sembrava andasse ogni mattina all‘appuntamento più bello è più importante della sua vita; o forse veniva dall’appuntamento più bello e più importante?
Non avrebbe potuto saperlo: non poteva uscire, non poteva farle un cenno, abbozzare un sorriso o almeno seguirla per andare a vedere dove si recasse. Per lui, così abituato a prendere tutto, a possedere tutto ciò che solo avesse destato in lui un remoto desiderio, a sfuggire dalla solitudine appagando ogni capriccio prepotente, era così strano non poter inseguire e afferrare quella bellezza.
Ma era lui a essere stato afferrato da quella felicità, da quella compiutezza che così, nel volto di una donna, non aveva mai visto! Ecco era una donna così compiuta, così riuscita, così… felice, di una felicità che non aveva paura di perdere, di una felicità solida che veniva da lontano ma al contempo come appena accaduta: che mistero!
Tutta la giornata, dopo quella manciata di attimi, proseguiva simultaneamente nel ricordo di lei e nell’attesa di lei. Non avrebbe più potuto fare a meno di guardare quella felicità! E l’attesa di lei non era una malinconica assenza, era un'attesa - durante tutta la giornata - piena di quella presenza, di lei. Faceva i soliti gesti, come prepararsi il caffè, aprire il computer o aprire la posta come se lei fosse lì accanto, cosicché tutto veniva investito da quella presenza nuova.
Si riaffacciava alla finestra ogni mattina col cuore in gola per vedere quella felicità, e come si rincuorava appena si assicurava ci fosse ancora, anzi forse ancor più splendente del giorno prima!
Ne diventava intimamente felice! Certamente, assolutamente, evidentemente una felicità che non dipendeva in nulla da lui ma che lo faceva lo stesso, anzi in modo acuto come non mai, intimamente felice: per la prima volta nella sua vita gioiva di una gioia per una persona, perché c’era, perché era felice, non perché era “sua “! E sentiva che era invaso da un sentimento di sé sconosciuto a cui poteva forse dare il nome di pace, una strana pace, gioiosa, attiva, con gli stessi connotati di quella camminata sostenuta.
Aveva aperto alle 6.10 quella finestra per lunghissimi giorni di immobilità forzata che presto sarebbero terminati. L’avrebbe potuta vedere almeno da vicino e lo desiderava tanto, ma aveva anche il timore di rovinare quella sua felicità se solo lei avesse potuto vedere qualcosa in lui non all‘altezza di quella bellezza, e ce ne erano tante di cose così in lui, ora le sentiva tutte con un dolore, anche questo, nuovo: un dolore autentico, un vero dispiacere, ma anch'esso travolto da quella bellezza, da quella misteriosa immensità che tutta illuminava lei e ora - ma come era possibile?! - anche lui.
Gli venne in mente in quel momento, chissà perché e soprattutto come, per quali misteriose sinapsi, la poesia che da trenta anni non sentiva più, dai tempi del ginnasio, e mai a essa aveva pensato in tutto questo tempo: “Mi illumino di immenso”.
Una fugace lacrima di gioia gli scese dalla guancia e si sentì di spalancare del tutto la finestra.