“Scrivo oggi, a notte fonda, senza un reale motivo né avendo pensato prima se fosse questo il momento opportuno o il bisogno di confronto con ciò che rimarrà, comunque, sedimentato per sempre dentro di me. L’anno zero è appena iniziato, sono diventato nuovamente apprendista dentro i giorni che trascorrono lenti e si accompagnano alla cadenza nuova dei passi non ancora decisi, né dal loro moto e neppure nei pressi di una mente offesa, ancora incerta. Sento che dovrò rivedere molte delle mie convinzioni, lasciate ai vortici delle domande senza risposta e al giudizio sospeso dopo i tristi, quasi fatali, eventi accaduti poco più di un mese fa.
Da un certo punto di sterile osservazione trovo persino surreale che sia già trascorso tutto questo tempo, anche se l’intenzione caparbia di qualche fastidioso postumo fisico me lo rammenti. Identico è il ricordo ancora vivido di quanto sia stato stretto quel confine calpestato.
Ho ripreso a guidare senza timore e questo devo riconoscerlo a me stesso, pur se i pensieri, spesso, tornano caparbiamente a quella sera, ai rumori accartoccianti dello schianto. Per mia natura, retaggio e resilienza conquistata tenacemente, non credo di essere persona avvezza agli sterili lamenti, ma so con profonda certezza che questa triste esperienza, comunque a lieto fine, abbia trattenuto in sé dei contorni che non potranno mai più essere dimenticati.
Certi accadimenti segnano, provocano delle lacerazioni invisibili, ma riconoscibili dall'anima più di evidenti cicatrici fisiche. È cresciuta in me, come un germoglio, la convinzione di essere stato graziato e senza, per questo, ricercare forzatamente qualche volontà o attribuzioni mistico-religiose agli eventi. Però, il doversi raffrontare con tutto ciò mi ha reso più cosciente nei confronti di situazioni affini che abbiano avuto un destino meno somigliante, non così benevolo. Persone incolpevoli, costrette a interrompere il loro cammino d‘esistenza lasciando molte altre vite in sospeso, senza pace, se non attraverso l’impronta di un lungo calvario d’accettazione. Riflettendo su questo, Il concetto di libero arbitrio mi è sempre stato incomprensibile, indigesto per definizione. Certi frangenti esulano completamente da una qualsiasi possibilità di arbitrio, rendendo quell'astrazione solamente una triste bugia.
Viviamo nella presunzione di poter catturare, manipolare il tempo a nostro esclusivo intendimento, lasciando poco spazio al potere dell’imprevedibilità, all'ineluttabilità degli eventi che possono raggiungerci in qualsiasi istante e attraverso strade che mai saremmo in grado di immaginare prima. Chissà perché la natura umana, pur possedendo l’intelletto e molti strumenti pratici, non abbia ancora preso davvero coscienza di queste variabili azzeranti. Forse, in noi, prevalgono sempre lo spirito di sopravvivenza legato indissolubilmente alla speranza o alla presunzione che allontani, nasconda ogni condizione avversa, fuori dalla nostra percezione di controllo.
Pur possedendo una mente introspettiva e osservante, esistono pensieri che ancora non so allineare né comprendere fino in fondo. Questo è il vero senso di precarietà che trattengo nei luoghi più nascosti della mia coscienza e umana resa, da cui cerco di trarre l’attenzione necessaria per avvicinarmi al mio senso della vita. Senza presunzione che tutto ciò abbia importanza se non per me stesso, ma che sento comunque il desiderio d’esprimere per la mia appartenenza ai sentimenti di chi calpesta in comunione la stessa vita, cercando segnali attraverso il rispetto delle proprie emozioni, anche quelle più fragili, sovrastanti e arrese ai misteri che, forse, ci saranno svelati in qualche muto istante di luce senza fine.”
© Roberto Anzaldi