Gli piaceva scrivere. Anzi, si sentiva davvero bene solo quando scriveva. Forse era perché non gli bastava una vita, la sua, per sentirsi felice. Ne voleva vivere cinque, sei o addirittura sette. Per questo i suoi romanzi avevano questo numero di personaggi, così che scrivendone si potesse immedesimare e vivere con loro e di loro per giorni e giorni!
Quando scriveva non riusciva ad avere altra preoccupazione che quella per i suoi personaggi, così che quando doveva sospendere di scrivere in realtà viveva quelle cinque, sei o sette vite parallelamente, come se ciascuna fosse la sua, quella vera. Aveva una capacità straordinaria di sentirsi addosso l’esperienza che lui stesso proponeva di vivere ai suoi personaggi e quindi il cambiare da un istante all‘altro la prospettiva del racconto a seconda di come ciascuno la vedeva e questo gli metteva addosso una fatica fisica sublime, come quella di quando da ragazzo sentiva tornando a casa, dopo ore e ore di partite di calcio e con i compiti ancora da fare. Qui per lui, soprattutto, il lavoro vero ancora tutto da compiere.
Ogni spunto per lui era l’occasione di una storia che si accendeva nella sua mente all ‘istante: una ragazza che entrava in un portone, un operaio sul marciapiede che si accendeva una sigaretta nella pausa del suo lavoro, il mendicante fuori dalla chiesa, una formica che attraversava incauta e incosciente la strada, erano momenti “normali“ all‘ interno di storie ricchissime di avvenimenti che si dipanavano in lui alla semplice vista di questi casi così banali. Ma per lui niente davvero era banale, la banalità era solo apparenza che velava appena storie: drammi, amori, gioie immense, dolori autentici, eroismi e meschinità di quelle che solo gli uomini sanno pensare ancor prima di compiere, e lui li "pensava" e "viveva" tutti.
Così era sempre irrequieto, perché viveva davvero quello che descriveva nei suoi personaggi fino ad avere dentro di sè un groviglio di sentimenti contrastanti eppure tutti autentici: ecco, si sentiva bene quando stava così, tutt ‘altro che tranquillo!
Accadde che per un'ingiustizia subita e per errori che non riusciva a perdonarsi, il suo animo si inaridì via via fino a che perse il gusto di scrivere, perché non guardava più l’anima della gente che incontrava, ma osservava solo se stesso in continuazione. Così più nessuna storia si accendeva in lui.
Fu da quell’aridità che tiró fuori il capolavoro della sua vita: era il personaggio che mancava al suo romanzo.