-Si accomodino signori, si accomodino
Qui buon cibo, buon vino e buone storie da ascoltare-
Un ritornello continuo quello di Mastro Andrea
Cercando di attirare cavalieri e carrozze che transitavano lunga la Via Francigena
Sventolava in aria e sui musi dei cavalli un fazzoletto, riportante i colori dello Stemma della Taverna
Una Donna con un abito rosso, avvinghiata da un serpente, che lei teneva ben saldo al collo
-Abbiamo un buon novello rosso e carni, le più buone della Toscana
Venghino signori, venghino!-
La Taverna era molto frequentata, si mangiava e beveva davvero bene
Ma era Donna Flora la protagonista
Moglie di Mastro Andrea, era una cuoca sopraffina
La sua Taverna era decorata con tende ricamate da fanciulle avviate all’arte
E la pulizia regnava tra i banconi di rovere e le sedie impagliate
Avevo fatto quel percorso migliaia di volte con la mia carrozza e i miei fidati quadrupedi
E appena avevo occasione e i miei clienti volevano riposarsi dal viaggio, amavo sostarci
Una volta entrato cercavo sempre lo stesso tavolo e anche quella volta lo trovai
La osservavo dalla mia postazione, quando la porta della cucina era semiaperta
Era come una direttrice d’orchestra
Spiumava oche in un battibaleno e spalmava oli e spezie come dipingesse tele di un quadro
In grossi pentoloni di rame mescolava zuppe di cavoli neri, come una maga, per stregarti coi sapori, unendo gli ortaggi che curava Mastro Andrea
Ma il mio piacere maggiore era nell’ascoltare tutte le storie fantastiche che raccontava
E rimanevo sempre affascinato e sorpreso che una donna così minuta, che viveva e lavorava in una cucina tutto il giorno, potesse conoscerne
Una volta che aveva rifocillato tutti i commensali e ripulito le mani sotto la fresca fontana, si asciugava nel bianco grembiule ed entrava in sala
Entrava con leggiadria, quasi non toccando terra: non si udivano i suoi zoccoli bianchi fare alcun rumore
Salutava con cortesia tutti
Non faceva distinzioni di classi sociali
La sua semplicità la si leggeva sul viso
Gote rosse, accaldate da camini che avevano cucinato selvaggina
E la sua cuffia faceva trasparire un ciuffo nero dei suoi capelli, che lei lasciava forse per vezzo
Occhi neri e grandi e un sorriso disarmante
-Ordunque signori-
Disse prendendo uno sgabello e sedendosi sopra, facendolo sparire nella lunga veste
-La storia che racconterò a cotante orecchie in ascolto, farà in modo che le vostre anime si possano placare e nei vostri cuori trovar posto allegria-
Il silenzio scese nella taverna gradualmente e i più alticci per l’aver gustato oltremodo del buon vino rosso ricevettero delle grandi gomitate sui fianchi dai vicini commensali, ormai in ascolto
-Questa storia narra di Saltarello.
Codesto bimbo nacque nella vicina campagna di Siena, da Donna Agazia e padre sconosciuto
Gli fu dato il nome Saltarello per puro caso
La sorella di Agazia quando lo vide disse:
'Guardalo! Balla, si dimena, si contorce, sembra un Saltarello'
Quel nome piacque subito.
'E così sia!'
L’arrivo di quel bimbo fu una manna, avendo bisogno di braccia per lavorare in cucina, ma anche la sua disgrazia
Saltarello si rivelò ben presto uno spirito libero
Bighellonando in strada, a volte improvvisando teatrini nelle piazzette del paesino
'Venghino signori, venghino!'
E quando un piccolo gruppo di spettatori si era riunito, partivano le affabulazioni e le storie
E piroette con lanci di bastoni di ulivo o palle di pezza arrotolata
Uno, due, tre
E via in aria, pronte a ricadere con precisione tra le sue mani
A volte faceva scherzi, appendendo topi morti a bracarelle (pantaloni) di ignari passanti, che in seguito accorgendosi scappavano a gambe levate
Altre facendo volare un bel falcone, donatogli da un vecchio nobile ormai anziano che aveva fatto ridere a crepapelle con uno dei sui tanti scherzi
Lo faceva volteggiare nell’aria e con uno schiocco di dita, il rapace passava sul capo dei tranquilli passanti, rubando loro il copricapo
Insomma, tutte bischerate che ad Agazia procurarono discussioni e dispendi di Agontani (monete d’argento) per far tacere il tutto e calmare animi
'Saltarello è il mio nome!'
E infilati dei rozzi trampoli, eccolo che camminava, osservando tutti dall’alto in basso