– Miao… –
Il sonno di Erwin fu disturbato da un inaspettato miagolio.
– Miao… Svegliati, accidenti a te, ho fame! –
Il gatto Werner si strofinò contro il viso dell’uomo tentando d’attirarne attenzione.
“Maledetto gattaccio” pensò Erwin “Che cosa gli ha preso stanotte?”
– Miao… Mi hai comprato il polmone? Ho voglia di polmone! –
– Lasciami dormire, domani mattina te lo do. –, si udì pronunciare il professore, ma non era sicuro d’aver realmente parlato o d’aver soltanto pensato quelle parole.
– Ho fame. Miao… –, insistette il gatto grattando la coperta che avvolgeva l’ingombrante oggetto delle sue attenzioni.
Erwin si tirò su, sprimacciò il guanciale, l’appoggiò in verticale alla testata e incrociò gli occhi verdi che lo fissavano con insistenza.
A dire il vero, Werner era un Signor Gatto: un bell’esemplare pasciuto, con il pelo rossiccio striato e dei bei baffoni lunghi. Lo stava squadrando con aria imperiosa, seduto sul suo letto.
– Oh, ti sei deciso a darmi retta, finalmente! –
– Ma tu parli! –, esclamò esterrefatto il padrone assonnato.
– E allora? Quand’eri bambino non ti sembrava così strano che parlassero altri gatti. –
– Quali altri gatti? –
– Il Gatto con gli Stivali, lo Stregatto, Il Gatto e la Volpe… anche se quell’infingarda si esprimeva molto meno bene del mio trisavolo. –
– Quelli sono personaggi di favole, non esistono veramente. –
– Ah, perché i tuoi quanti invece sì… –
– Che cosa ne sai tu dei quanti? –
– Proprio niente. Però io so molte più cose sui sogni di quante tu non ne sappia sui quanti: particelle che non sono particelle e onde che non sono onde. –
“È assurdo”, pensò Erwin, “sono le tre di notte e sto parlando di fisica quantistica con un gatto”.
– Magari stai parlando con un gatto quantico! –, Continuò Werner come se gli avesse letto nel pensiero e gli stesse rispondendo.
– Ma che stai dicendo, Werner? –
– Certo che potevi darmi un altro nome! Dovevi chiamarmi proprio come il tuo amico-nemico Heisenberg? [1] Comunque non farlo più venire a casa nostra. –
– E per quale motivo? –
– L’ultima volta mi ha pestato la coda. –
– Forse sei tu che gli sei andato nei piedi. E poi cos’è questa storia del gatto quantico? –
Werner ridacchiò come ridacchiano i gatti rossi, saltò giù dal letto e incominciò a correre a destra e a sinistra per la stanza da letto.
– Dove sono? A zonzo me ne vo, ma se mi guardi, non sai dove sarò. Se non mi guardi invece, sono qui, ma non sai s’è sabato o s’è lunedì. Dove sono? Come sono? Non lo sai, ma ti perdono… –, e ciò detto balzò nuovamente sul giaciglio che concedeva all’umano di condividere con lui.
– Questo è solo un sogno –, esclamò il Professor Schrödinger[2] con un tono d’indecisione (anzi, d’indeterminazione) senza sapere se si rivolgeva al gatto o a se stesso.
– E allora? Hai qualcosa contro i sogni? –
– Assolutamente no! Dico soltanto che non sono reali. –
– Credi davvero? Tu e i tuoi amici non siete capaci di misurare con precisione due cose insieme e mi vieni a parlare di realtà? –
– L’impossibilità di conoscere contemporaneamente sia la posizione, sia la velocità di una particella non implica che il mondo non sia reale. –
– Quindi, illustre professore, l’impossibilità di compiere misure nel mondo dei sogni ti porta a supporre che esso non esista. –
– Mi sembra un’ovvietà! –
– Quanto siete presuntuosi voi scienziati. Fino a quando non avete tirato fuori dal cilindro il coniglio della meccanica quantistica eravate tutti convinti di poter ipotizzare il futuro in base al passato o alla situazione presente. Poi, i vostri quanti vi hanno giocato un brutto scherzo: non potendo conoscere tutte le variabili in gioco, come potete determinare quello che succederà in futuro? –
– La più grande qualità della scienza è quella d’essere pronta a rimettere in discussione tutto il suo sapere alla luce di nuove scoperte. I sogni sono solo visioni, fantasticherie… –
– Lo dici come se fossero delle scemenze. La scienza non sarebbe nulla senza il sogno. E ancor meno la stessa vita. Il fatto che l’evoluzione futura di qualsiasi evento non sia determinabile al 100% lascia proprio lo spazio necessario affinché la creazione possa avere luogo. E che cos’è la creazione se non un sogno? Fare cose nuove, imprevedibili, che non dipendono necessariamente dalla situazione preesistente. –
Un rumore in strada perforò la bolla onirica di Erwin facendola scoppiare e dissolvendola istantaneamente senza memoria. L’uomo si alzò, infilò la vestaglia e si diresse in cucina alla ricerca di un bicchiere d’acqua. Al suo ritorno si sedette sul bordo del letto. Werner se ne stava raggomitolato nel mezzo, infossato nel caldo copriletto. Erwin l’accarezzò. Il gatto stirò le quattro zampe, incurvò la schiena e incominciò a fare le fusa. Socchiuse gli occhi in segno di riconoscenza verso chi non gli avrebbe fatto mai del male. Erwin non lo sapeva ancora, ma lo avrebbe reso il gatto più famoso della storia della scienza.
[1] Werner Karl Heisenberg (Würzburg, 5 dicembre 1901 – Monaco di Baviera, 1º febbraio 1976) è stato un fisico tedesco. Premio Nobel per la fisica nel 1932, fu uno dei fondatori della meccanica quantistica, introducendo in particolare il celebre principio d’indeterminazione.
[2] Erwin Rudolf Josef Alexander Schrödinger (Vienna, 12 agosto 1887 – Vienna, 4 gennaio 1961) è stato un fisico di grande importanza per i contributi fondamentali alla meccanica quantistica e in particolare per l'equazione a lui intitolata, per la quale vinse il premio Nobel per la fisica nel 1933.
Il paradosso del gatto di Schrödinger è un esperimento mentale ideato nel 1935 dal fisico austriaco, con lo scopo di illustrare come la meccanica quantistica fornisca risultati paradossali se applicata a un sistema fisico macroscopico.
Andando decisamente contro il senso comune, esso presenta un gatto che, in uno stato noto come sovrapposizione quantistica, può essere contemporaneamente sia vivo che morto, come conseguenza dell'essere collegato a un evento subatomico casuale che può verificarsi o meno. Il paradosso è descritto spesso anche nelle discussioni teoriche sulle interpretazioni della meccanica quantistica.