-Vedete Flora, non volevo essere maleducato, ma la mia esuberanza mi ha fatto andare oltre. Scusatemi.-
Passai il resto del percorso a chiacchierare amorevolmente con quest’uomo, nonostante sul mio capo fosse ben scritto “Non parlare al conducente”. Ma quel conducente aveva anche un nome.
E per me era più importante quello. E così nei giorni a venire fu un susseguirsi di incontri.
Ero felice di aver scoperto un lato del mio carattere aperto al dialogo verso gli sconosciuti, ma anche l’umanità che quest’uomo aveva.
Qualsiasi passeggero era per Gennaro un passeggero speciale.
Uno a cui raccontare qualcosa di divertente, o qualcosa di incoraggiante per l’esame da sostenere a scuola, o semplicemente un buongiorno da dare al cupo esattore delle tasse raccolto nel suo paltò grigio e abbracciato alla sua cartelletta nera finta pelle.
Insomma quella corriera era permeata d’amore e vita quotidiana.
Era un piacere salirci e tante volte avresti preferito soffermarti più a lungo.
Le mille storie e i mille volti che si susseguivano erano una vera e propria scuola di vita.
Un romanziere ne avrebbe tratto qualcosa da raccontare, un filosofo avrebbe espresso parole ardite, un giornalista avrebbe certo trovato lo spunto per un articolo di folclore locale. Ma a parte tutti i dotti, quello che provavo io era altro.
Era un misto di ammirazione, di invidia per la sua naturalezza, per quella sua capacità quasi irreale di trasmettere felicità alle persone.
Pensai, non in preda a funghi allucinogeni, che fosse sceso un angelo in Toscana e che io l’avevo lì a portata di mano e potevo toccarlo.
Quella volta che una scolaresca di ragazzi parlava di aquiloni, Gennaro ascoltò e stava quasi fermando la corriera in mezzo alla campagna, per poter spiegare loro come aveva risolto non so quale difetto degli stessi.
Quella volta che un vecchio barbone alzò il bastone al cielo per poter salire, nonostante non fosse la fermata giusta, lui bloccò l’autobus, apri le porte e lo fece salire. Eviterei la parte dell’odore, ma il gesto fu esemplare. Naturalmente era senza biglietto, che pagò lui.
La volta che un anziano passeggero fu preso da un malore, la corriera deviò di non pochi chilometri il suo percorso, forse facendo anche arrabbiare qualcuno, ma Gennaro voleva che un dottore vedesse subito quell’uomo in modo da poter continuare il viaggio con l’animo in pace. La volta invece che due uomini si azzuffarono per il sol motivo del posto a sedere, lui risolse la questione dopo aver chetato gli animi con una partita a carte.
Entrambi i contendenti accettarono la sfida e di buon grado anche la perdita di uno di loro.
La volta invece che Andrea, un ragazzino minuto e introverso, stava facendo ritorno a casa in lacrime, Gennaro gli chiese il perché del pianto. Il brutto voto che doveva confessare ai suoi genitori era un fardello troppo pesante.
Lui si offrì di accompagnarlo per far capire loro che un brutto voto non era la fine del mondo.
Non seppi mai come fini esattamente quella vicenda.
Finii l’università dopo tre anni, laureandomi con 108 su 110.
Fui contenta davvero di smettere, la fatica era diventata tanta.
Psicologia era adesso il mio futuro.
Dopo altri sacrifici economici, anche da parte dei miei genitori, aprii uno studio piccolino vicino a Firenze.
Anche lì i costi erano talmente alti che dovetti fare una scelta.
Però il borgo in cui mi sistemai era tranquillo.
All’inizio i pazienti erano pochi, ma ero comunque contenta.
Sono passati alcuni anni e ora il mio studio è ben avviato.
Pochi giorni fa, aprendo un manuale, mi sono ritrovata in mano uno sgualcito biglietto di corriera. Ho osservato meglio ed era della tratta che avevo percorso per diversi anni con Gennaro.
Un ritorno al passato e a tutto quello che avevo vissuto con quell’uomo e con tutta quella gente semplice.
Ho pensato che non ci sarebbe stata università tanto importante che mi avrebbe potuta arricchire così come quel periodo.
Penso che inconsapevolmente, con i miei pazienti, adottavo una tecnica tutta mia.
E penso che, anche stavolta, Gennaro ci abbia messo lo zampino.
Grazie Gennaro e grazie a quella vecchia, cigolante, rumorosa corriera 23.