Quella notte di Agosto, Roma era deserta e silenziosa in maniera insolita.
Ricordo che negli anni passati, dalla mia terrazza sapientemente attrezzata per poter trascorre l’estate, non c’era notte che i rumori della città non giungessero prepotenti.
Quella sera no.
Sembrava che la città fosse stata narcotizzata
Questa cosa mi turbava e mi disorientava.
Oltre farmi pensare.
Mi sentivo un po’ l’ultimo uomo sopravvissuto sulla terra dopo una catastrofe.
Dicevo poco innanzi, che il luogo dove trascorrevo i mesi estivi per la maggior parte del tempo era la terrazza che si affacciava dal soggiorno.
L’avevamo scelta insieme.
Un giorno passando presso il Lungotevere alzammo lo sguardo e la vista si pose su questo fabbricato d’epoca.
La facciata era alquanto toccata dal tempo, ma la terrazza propendeva verso il fiume.
Fu tale il richiamo che non sapemmo non rispondere.
Dopo aver fatto 3 piani a piedi, sbirciammo dalle finestre delle scale.
Si presentò a noi in tutto il suo verde lussureggiante e i fiori ordinatamente posti nei vasi.
L’edera copriva tutto un lato del fabbricato.
Un tavolino d’epoca, rotondo, in marmo, era posto al centro della terrazza stessa.
La fontanella di marmo bucciato ricordava vagamente le fontane di epoca romana poste in ogni angolo della città.
La vista era splendida.
E l’Isola Trasteverina si poteva quasi toccar con mano.
Fu amore a prima vista.
L’anziana signora che ci abitava ci notò subito.
Aprì la porta e con garbo ci chiese chi fossimo e cosa cercassimo.
Capì a breve che quella palazzina e la sua terrazza ci aveva affascinato.
E attratto il nostro interesse.
Lei con fare disinvolto ci disse: - perché non l’acquistate, siete ancora così giovani. Ormai io sono sola e questa casa è troppo grande per me. Inoltre mia sorella da oltre un anno mi chiede di andare a vivere da lei ai Castelli Romani. -
Insomma, per farla breve, dopo un mese entrammo in possesso dell’abitazione.
La terrazza venne poco modificata dai lavori che eseguimmo.
Mantenni, senza spostarlo di un centimetro, il tavolino, su cui appoggiai la mia macchina da scrivere.
Su fatemi la domanda?
- Ma lei scrive? -
Sì. Sono un scrittore. O pseudo tale.
Non di successo, ma qualche pubblicazione l’ho avuta.
Adoro sentir picchiettare i tasti di questa vecchia Olivetti nera, sui fogli bianchi.
Nei momenti di maggior creatività sembra quasi di sentire il rumore di cavalli a galoppo che incidono sul terreno i loro zoccoli.
Nei momenti di minor estro ricorda più il bagnasciuga che si rifrange sulla spiaggia, con quel fare cadenzato e sonnolento.
Io ero in questa ultima fase.
Avevo infilato quel patetico foglio bianco dentro la mia luccicante Olivetti, ma le mie mani erano ferme.
La testa sembrava quasi staccata dal resto del corpo.
Non parliamo delle idee.
Quelle erano anche loro andate in vacanza con la mia testa.
La non percezione quella notte di Agosto, di alcun rumore proveniente dalla città, mi stava facendo impazzire.
Fissavo lo sguardo da oltre un’ora su quel foglio.
Io guardavo lui e lui guardava me.
Con calma gli dicevo: - Dai, dimmi qualcosa -
Lui niente, imperturbabile e imperscrutabile.
Mi faceva rabbia.
Quella sua candida dolcezza espressa nel suo colore bianco, era pari alla sua estrema arroganza nel non mostrarmi neanche la benché minima macchia d’inchiostro.
Ma nonostante quel reciproco scambio di sguardi e colloqui.
Niente.
Sembrava fosse più ostinato di un mulo.
Nel frattempo prendevo tempo.
Si potrebbe pensare che sono pazzo, dato che quest’uomo parla con un foglio.
Farò una rivelazione.
È tutta una scusa.
La verità è che la terrazza adesso, aveva un ospite in meno.
Lei era andata via.
Avevo trovato i cassetti vuoti quel giorno.
Una breve lettera mi diceva che lei aveva resistito a lungo, ma l’amore, quello, la aveva abbandonata.
Finito. Stop.
Che comunque ero stato importante per lei e non mi avrebbe mai dimenticato.
Come pure i momenti trascorsi insieme.
Bla bla, Bla bla, Bla bla
È forse la solita storia di abbandono ma che cazzo, neanche volermi parlare guardandomi negli occhi.
Sono passati quattro mesi da quando è andata via.
Mi sono preso un gatto. O meglio lui ha trovato me.
Mi piscia dovunque, seccandomi le piante.
Ma almeno mi fa compagnia.
Io sono ancora qui.
Su questa terrazza.
Una notte d’estate.
Con un foglio bianco che mi fissa e senza un rumore che mi faccia sentire ancora vivo.
Mi siedo.
Lentamente mi giro.
Percorro con la vista a 360° la terrazza e tutto quello che mi circonda.
Guardo in cielo.
Le stelle e la luna sono sovrane.
La mattina dopo la signora che ogni tanto andava a casa sua a fargli pulizia, lo ritrovò addormentato come un bambino dopo una vorace poppata.
Lo straccio si pose sul tavolino rotondo e sulla vecchia Olivetti nera.
Lo sguardo curioso fece il resto.
Sul foglio impresse poche parole.
Daniele è ancora qui.