Se si sommavano i componenti delle Famiglie Svevo, capostipiti mio nonno Arcangelo e mia nonna Pinuccia Aico', ai componenti dei loro dirimpettai, capostipiti Tullio Ciocca e Nina Spatola, il risultato faceva quattordici anime che abitavano sullo stesso pianerottolo.
Sei figli schierati per gli Svevo. In ordine di età mia madre Felicita, poi Brando, Camillo, Ferdinando, Carmela e Vincenzino.
I figli dei Ciocca si fermavano soltanto a quattro: Sergio, Giovanni, Sauro e Mafalda.
Mentre i capostipiti stazionavano quasi sempre nelle loro dimore, i figli, diventati inevitabilmente più parenti che amici, andavano e tornavano da un'appartamento all'altro confondendosi anche a tavola. Se mia nonna Pinuccia cucinava fave e cicoria, Vincenzino sgattaiolava dai Ciocca dove spesso si cucinavano le mezze zite al sugo di cavallo.
Se invece dai Ciocca si serviva pasta con cime di rapa, era Sauro che si portava la sedia da casa e puntava dritto alle lenticchie al pomodoro e cipolla di casa Svevo.
Zio Camillo (Svevo) e Giovanni (Ciocca) collezionavano tanti di quei quarantacinque giri che non sapevano più dove metterli. Li ascoltavano con i giradischi dell'epoca che, di solito, costituivano la parte superiore della radio. Una radio grande quanto un televisore che gracchiava e offriva si e no quattro stazioni di comprensibile ascolto. Celentano e i Beatles la facevano da padrone. Maffy, Mafalda, stravedeva per la Pavone, ottima pure la classifica per Presley, Peppino Di Capri e i Platters.
Di conseguenza il traffico tra le due abitazioni per ascoltare l'ultima di Don Backy o l'inedito di Ray Charles aumentava a dismisura.
Metteteci pure le chiacchere tra Maffy e mia zia Carmela alle prese con incessanti pene d'amore, i giornalini osé che zio Fe' condivideva con Sauro e Giovanni Ciocca, le partite viste insieme e le torte sfornate a quattro mani... insomma... le porte di casa Svevo e Ciocca avrebbero potuto tranquillamente essere rimosse che nessuno ci avrebbe fatto caso.
‘Arrivo subito’ era tra le frasi più ricorrenti recitata quando uno Svevo migrava dai Ciocca e viceversa. E le porte di ingresso erano, per questa e altre ragioni, quasi sempre semichiuse.
Come conseguenza l'anguilla fuggita dal coltellaccio di zia Carmela durante la vigilia di un Natale di troppi anni fa attraversò indisturbata il pianerottolo per introdursi da casa Svevo in casa Ciocca.
Tullio Ciocca, il capofamiglia, lavorava di notte, alle poste. Riposava di giorno infilandosi sotto le candide lenzuola che Nina, sua moglie, metteva e toglieva dalla Candy il venerdì, giorno di bucato e di magro.
Forse attirata dal color verde mare delle federe il rettile, o pesce che fosse, si infilò tra il cuscino e le lenzuola a pochi centimetri dal signor Tullio.
Il suo percorso era evidenziato da una leggera striscia di sangue appena visibile sul cuscino di Nina, sua moglie, ad una spanna dal naso del dormiente.
Le urla di Tullio indicarono in modo chiaro e inequivocabile a zia Carmela dove si fosse cacciata la povera anguilla. Aveva percorso sotto copertura la manica del pigiama indossato dal capostipite con l'intenzione di proseguire nella bocca umidiccia del suo nuovo amico.
Con una flemma soprannaturale zia Carmela agguantò la fuggitiva stretta in un guanto di plastica giallo. Furono gli ultimi attimi di vita della bestiola che, rispettando la tradizione, raggiunse dopo decapitazione le sorelle già lavate e posizionate in una pirofila di forma ovale.
Non so se è per questo motivo che io, le anguille, non le ho più assaggiate in vita mia, e nemmeno potrei dimenticare la lotta impari sopportata da quella poverina, divorata dai famelici commensali durante quel Natale di troppi anni fa.