Lo guardo, è seduto al sole, un libro in mano, un cane gli dorme sui piedi, non chiede l'elemosina anche se sembra vivere per strada.

Legge Proust mentre centinaia di piedi lo schivano, piedi addormentati in comode scarpe di classe dal prezzo inabbordabile, piedi femminili costretti in scomode calzature dalla firma altisonante di qualche uomo che non le indosserà mai, piedi infilati in scarpe da ginnastica o in mocassini senza marca o ancora nell'imitazione plasticosa di qualcosa che sia conforme alla moda del momento.

Lecco il gelato.

Il ragazzo non pare interessato ai piedi, non ha fretta.

Non ha l'aria soddisfatta e felice del figlio di papà che si può permettere di fare il barbone per qualche anno in attesa di ereditare l'azienda di famiglia, ne ho conosciuti più di quanti non si creda, ma nemmeno sembra voler chiedere qualcosa a qualcuno, ha l'aria di uno che si gode le ferie e forse è davvero così.

Lo osservo, non sembra Italiano, forse dell'est, difficile dargli una nazionalità.

Svolge le pagine lentamente, nel sole del mezzo giorno.

Io ho un pomeriggio libero da quell'assillante vita che mi sono scelto, la chiamo la mia routine, non mi ricordo nemmeno più di odiarla o forse non ne ho il tempo.

Oggi un cliente importante ha avuto un imprevisto, si è scusato molto, pareva sincero.

Il mio capo mi ha guardato e mi ha detto “vai a casa, sembri un fantasma da quando non c'è più Miriam, vai a casa che primo o poi scoppi e a me servi, ti regalo un pomeriggio ma lo faccio più per me che per te”

Non ho dubbi in proposito.

Miriam due mesi prima, Miriam se n'era andata.

- Mi hai chiesto di sposarti e ci ho pensato, ci ho pensato tanto che ho capito che amo una persona che non esiste più, lasciami andare...

Me l'aveva detto guardando le piastrelle verdine della cucina, aveva il viso pieno di lacrime.

Non avevo sentito nulla, un piccione si era posato sul davanzale “quindici anni appena volati via, quasi metà della mia vita” pensai.

Lei aveva fatto le valige io mi ero bevuto un bicchiere di rum liscio.

Lei parlava ma non la potevo più ascoltare.

Il ragazzo legge lento, e il gelato mi cola freddo sulla mano.

Mi giro un attimo sento chiamare il mio nome in lontananza.

Mi rigiro:

- Ti ricordi?

Mi chiede lui sorridendo dopo aver ributtato il libro nella tracolla militare.

Una ragazza gli sta venendo incontro, urla il mio nome e ha i capelli corti tinti con l'henne porta abiti sgargianti, sembra felice.

Miriam.

- Allora come è andato il colloquio?

- Bene ma ho rifiutato il lavoro

- Perchè?

- Mi è sembrato di vedermi nel futuro, in un angolo, giacca e cravatta, un gelato che cola e l'espressione di uno che vuole solo morire e allora mi sono detto che nessuna occasione è l'ultima e io prenderò la prossima, ovunque questa mi porti.

I ragazzi se ne vanno nell'affollata via del centro, il cane gli trotterella alle spalle.

Mi siedo alla base della colonna e apro il libro che tengo nella 24 ore, Proust.

Ricomincio dalla prima pagina, ricomincio la mia vita e sono pronto a tutto, anche a sfidare i piedi frettolosi che mi evitano e gli sguardi disgustati dei loro proprietari che mi fulminano anche ad abbandonare la mia routine come un vestito vecchio a ricominciare tutto da capo.

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