Beato te che sei stato sempre libero di essere te stesso, nessuno ti ha mai ingabbiato come invece hanno sempre fatto con me. Tu non devi fuggire dagli sguardi di nessuno, non hai bisogno di nasconderti, tu sei te stesso sempre, non potresti non esserlo, mostri tutto di te: la gioia e la rabbia ovunque ti trovi senza preoccuparti di chi ti sta vicino, senza reprimerti.
Pazzia è la mia se parlo a te, se chiedo a te se ti sei mai chiesto come mi sento. Non puoi, la tua natura te lo impedisce, la mia invece dovrebbe impedirmelo di chiedertelo e invece eccomi qua ad interrogarti, come la chiameresti tu questa se non pazzia. Io mi rifugio in te, nei tuoi occhi che sono gli occhi di chi non giudica, di chi accetta indistintamente tutto di me, di chi mai potrebbe tradirmi, di chi mi ama incondizionatamente, di chi senza ragione mi sta accanto, di chi se ne fotte del mio essere non essere, di chi mi è fedele, di chi, semmai venisse allontanato da me, ritornerebbe sempre.
Potessero avere gli altri i tuoi occhi che sono sgombri da ombre.
Già!
Nei loro occhi invece, le loro ombre, quelle più subdole, più recondite, quelle che mi attanagliano e non mi fanno vivere. Ombre che loro stessi si rifiutano di affrontare, ardua impresa, meglio proiettarmele addosso, come se bastasse questo per liberarsene, poveri illusi!
Prima o poi anche loro dovranno farci i conti.
Che bello… se si concentrassero sulle loro ombre lasciandomi la forza di combattere le mie sempre più numerose nella mia mente: sono troppe, sono tante. Tutte addossate a combattersi tra loro con prepotenza pronte a sopraffarsi: la vincitrice è la peggiore ed è proprio lei trionfante che mi dà il ben servito, mi agita, mi inquieta, finisce con lo stropicciarmi l’anima, raggrinzisce il mio essere e cosa più triste, sai qual è?
È che non puoi disfartene come se fosse un abito da dismettere.
Eh già! Come potrei. Ti veste e ti riveste a suo piacimento calzandoti malissimo e proprio quando trovi la forza per affrontarla eccoli pronti su di me i loro perfidi occhi ad illuminarmi col faro delle loro ombre, come se non bastassero le mie, una luce accecante che mi oscura completamente, inghiottendomi e facendomi precipitare.
Sai che ti dico? Non lo sai vero? Come potresti saperlo né tanto meno immaginarlo.
Allora ascoltami, ascoltami bene.
Prima o poi anche loro cadranno negli abissi senza mai toccare il fondo, sempre più giù fino a sprofondarvi. Per quanto tempo possono spostare le loro ombre altrove, allontanarle, far finta che non esistano. È inutile, si ripresenteranno in loro: sempre più invadenti, sempre più irrompenti, sempre più arroganti, sempre più asfissianti, sempre più giganti, costringendoli ad affrontarle per non soccomberne e rimanerne sconfitti.
Sempre più pazzo, ti rendi conto che sto ancora qui a parlarti ininterrottamente, col tempo che scorre senza guardare in faccia nessuno. Almeno lui… scorre veloce e passa per tutti, incurante e indifferente, e tu instancabile ad ascoltarmi.
Come vorrei donarti la parola, tu si che ne sapresti fare buon uso, so che non mi deluderesti, so che non smetteresti di elogiarmi, di apprezzarmi, allora fermerei queste pareti, impedirei loro di schiacciarmi, aprirei tutte le porte, spalancherei le finestre per far sentire al mondo io chi sono, per farti urlare a tutti scodinzolando per la felicità, la mia bontà, perché chi mi sta intorno mi scrutasse dentro guardandomi con gli occhi della curiosità, della conoscenza e scoprisse che non c’è diversità nelle movenze, negli atteggiamenti, nell’aspetto, nei pensieri, che il mio essere è parte integrante della realtà. La realtà che ha bisogno di un miscuglio di colori diversi per definirne uno deciso ed intenso che rappresenti il genere umano impregnato di quella umanità che abbia gli occhi dell’amore, gli unici deputati ad illuminare tutte le ombre.