Nel 1815 il fratello Carlo muore lasciando un figlio, anch’esso di nome Carlo. B. si affezionò talmente al ragazzo che approfittando della scarsa moralità della madre ne contese la tutela che la ottenne dopo una estenuante azione giudiziaria.
Ma questo nipote non gli procurò che dispiacere e non fece altro che rafforzare i suoi dolori. I forti dispiaceri e le speranze svanite influirono sulla sua produzione musicale e da varie parti già si parlava di un B. finito. Ma la sua forza indomabile ebbe il sopravvento. Furono questi i tempi in cui nacquero la nona sinfonia, la Messa solenne, e gli ultimi cinque quartetti.
Ben presto, alla sordità che lo teneva escluso dal mondo, che lo rendeva inquieto contro tutto e tutti, si aggiunse una serie quasi continua di mali, dalla polmonite, alla gotta, dall’itterizia all’idropisia. La sua vita era diventata un tormento. Subì varie operazioni, una dopo l’altra, che gli consumavano ancora di più l’esistenza. Nella sofferenza egli affermava: attraverso il dolore si conosce la gioia.
Ciò che distingue B. dagli altri musicisti è il fatto che egli non fu semplice musicista intento ad esprimere melodie ma anzitutto egli fu un pensatore, il quale adoperò l’arte non come fine ma come mezzo educato da un sistema di idee, da una concezione etica e filosofica della vita.
Ecco perché B. è il Dante della musica, per aver adoperato l’arte come uno strumento didattico per diffondere una propria filosofia della vita. Ciò che Dante e` in poesia B. lo è in musica.
Un altro aspetto importante nella personalità di B. è la sua cultura musicale. A differenza degli altri egli studiò, e molto attentamente e accuratamente i suoi predecessori. Studiò anche i grandi italici. Ne comprendeva il senso e la personalità ma rimaneva sempre estraneo a quello che poteva essere l’influsso musicale. Prima di tutto era ed è stato se stesso.
La sua stessa vita lo distingue da quella degli altri musicisti. Le vite di un Bach, di un Mozart, di un Rossini, sono uniformi, spiritualmente ed intellettualmente. Non si può concepire Bach che sotto due aspetti: o quello del mistico continuamente rapito da Dio, al di la della vita umana, o quello del placido piccolo borghese la cui vita scorre tra l’organo e la famiglia. In contrasto con quella di Bach ma analoga dal punto di vista che a noi interessa, si può considerare quella di Mozart, il divino fanciullo la cui vita scorre tra donne e concerti, cosi come quella di Rossini scorre tra la tavola bene imbandita e il teatro. Anch’essi esprimono la gioia ed il dolore, anch’essi giungono alla Messa di Requiem o al Mose`, alle sublimità religiose, ma vi giungono con indifferenza per il contenuto.
La loro sensibilità è tale da far si che essi possano esprimere qualsivoglia sentimento. B. invece e` un apostolo. Pur potendo farlo, egli rifiuterebbe per una determinazione morale di comporre il Don Giovanni. Prima del bello colloca il buono. La sua vita si immedesima con la sua arte cosi che la sua arte non si piega senza la sua vita.
Negli nasce nel dolore, vive nella povertà, muore nella povertà e nel dolore. Il suo dolore diventato universale, fa si che egli si innalzi ad una missione: redimere l`umanita` dal dolore, lottare per conquistare la gioia. Ed ecco che egli, per la parte cantata della nona sinfonia musica l’inno alla gioia di Schiller.
A chi gli chiese il significato delle note introduttive della quinta sinfonia egli rispose che erano i battiti del destino nella vita di ognuno.
Fu questa sinfonia, cosiddetta del destino, che portò all’apice la popolarità di Beethoven. Essa suscitò tale entusiasmo che mai prima si era avuto in una pubblica esecuzione. Tutto il pubblico si alzò in piedi come un solo uomo ed intonava prima del finale la gaia melodia. La gente si strappava persino i capelli.
Tutta l’opera di B. è impostata sulla concezione dualistica di una lotta tra il bene e il male, tra gioia e dolore, nella quale il male ed il dolore mentre sono manifestati con una profondità che nessun musicista ha mai superato, figurano eternamente sconfitti. Ma nell’opera di B. trionfa il male o il dolore. Egli e` datore di forza per superare il dolore, elargitore di gioia. Qui bisogna soffermarsi per stabilire quale sia questa gioia. Egli non confonde la gioia con il divertimento, con l’oblio edonista. La gioia nella sua opera assume il significato trascendente di una rivelazione di Dio, di un itinerario alla perfezione divina, e` precisamente la gioia del paradiso dantesco alla quale non si giunge se non attraverso il patimento del dolore.
Alcuni hanno voluto vedere degli accostamenti tra Leopardi e B. i due grandi interpreti del dolore, ma l’accostamento è lecito soltanto a patto di osservare che, mentre Leopardi non supera il dolore, anzi lo eleva a realtà suprema e universale e sparge l’ironia sui sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive” dell'umanità B. si alza, sistematicamente, dal dolore alla gioia e tesse l’apologia della lotta, il trionfo dell’ottimismo. Nella Ginestra il dolore umano diventa il dolore universale; nella nona cede alla gioia universale. Ecco, dunque, il sistema di B. il motore di tutta la sua opera. Lo si può definire platonico cristiano nelle idee plutarchiano nell’etica. Pur restando al di fuori da ogni influenza da parte dei due pensatori.
A questa profondità di visione filosofica e morale si deve il fatto che la sua musica si solleva a rivelazione universale delle idee.
Gli altri musicisti stanno a lui come i presocratici a Socrate e a Platone. Il minuetto di Haydn si trasfigura nell’apoteosi della settima, alla stessa guisa che gli atomi di Democrito si trasfigurano nelle idee di Platone. La grandezza di B; consiste nel fatto che, mentre la sua musica è come quella di Bach, ideale, trascendentale, metafisica, è radicata però anche nella realtà, nella verità quotidiana. Non è spirito staccato dalla materia, ma è materia fusa, plasmata dallo spirito, innalzata verso lo spirito ma che nello spirito porta echi e luci della materia. Proprio come Dante.
L’arte di B. non è soltanto religiosa ma anche sociale. Il sublime si identifica col comune, il celeste con il terreno. È arte, quella di B. che vive nel popolo, che ne partecipa le piccole gioie, i comuni dolori quotidiani ed è capace di sollevarli, trasfigurarli a significato universale.