Parte 6: Il sacrificio finale
La notte successiva, mentre M. raccoglieva freneticamente le sue cose, convinto di poter fuggire dal villaggio, un rumore improvviso alla porta lo fece sobbalzare. Le figure incappucciate che aveva intravisto attorno alla chiesa irrompevano nella sua stanza, muovendosi con una forza e una determinazione inarrestabili. Il terrore gli attanagliava lo stomaco, paralizzandolo, mentre lo trascinavano senza fatica verso la chiesa. La sua mente era vuota di speranza: tutto era già pronto per il sacrificio.
Varcato il portone, un silenzio soffocante lo accolse, un vuoto in cui l'aria sembrava pesante e immobile. Al centro della navata, circondato da candele tremolanti, si ergeva un altare di pietra grezza, freddo come la morte che vi aleggiava sopra. Le mura della chiesa, antiche e crepate, sembravano essere testimoni silenziose di chissà quanti sacrifici precedenti. Il vento sussurrava, insinuandosi tra quelle crepe come se volesse svelare i segreti oscuri che il villaggio aveva nascosto per generazioni.
I volti dei residenti, deformati dalle ombre delle candele, formavano un cerchio attorno all'altare. I loro occhi, brillanti di una devozione fanatica, seguivano ogni mossa di M., come bestie affamate in attesa della preda.
Al centro dell’altare si stagliava la creatura che aveva infestato i suoi sogni. Un demone maestoso, avvolto da ali nere che sembravano fatte della stessa sostanza dell’oscurità. Gli occhi, due pozzi ardenti di fuoco e odio, lo fissavano con una furia insondabile. La sua presenza sembrava piegare la realtà attorno a sé, distorcendo l’aria, come se il mondo non potesse contenere la sua essenza infernale.
M. fu immobilizzato, non dalle corde ma da vincoli invisibili, e una consapevolezza agghiacciante si insinuò nella sua mente: il villaggio non poteva spezzare la maledizione. I sacrifici dovevano continuare, e lui era il prossimo. Sentiva il peso di quella consapevolezza come una pietra sul petto, eppure non riusciva a muoversi. Ogni fibra del suo corpo gli diceva di fuggire, ma non c'era via di scampo.
Il demone avanzava, con passi lenti e inesorabili, e M. sentì un brivido di consapevolezza attraversarlo: la creatura traeva forza dalla malvagità degli abitanti. Ogni atto oscuro, ogni segreto celato, ogni desiderio taciuto alimentava quel mostro. Era il riflesso delle loro anime corrotte. I volti dei suoi aguzzini, distorti dalla luce delle candele, si contorcevano in un’adorazione morbosa, una sete di male che li aveva corrotti.
Il demone si chinò su di lui, il suo respiro caldo e sulfureo gli sfiorò il viso, mentre lo sguardo fiammeggiante lo avvolgeva in un mare di promesse di oblio ed eternità. M. poteva quasi sentire l'eternità che lo attendeva, un luogo fatto di oscurità senza fine.
Sopra di lui, il pugnale sacrificale scintillava nella penombra, pronto a scendere e porre fine alla sua esistenza. Ma in quel momento, qualcosa cambiò. M., schiacciato dal peso della paura, si arrese. E nel momento della resa, una calma inaspettata lo pervase, come se un soffio di pace gli avesse toccato l’anima. La paura si dissipò come nebbia al sole. Il freddo dell’altare si fece più lontano, le fiamme del demone meno brucianti. Non c'era più terrore, non c'era più lotta.
Chiuse gli occhi, e nella sua mente comparve un volto. Non quello del demone, né quello dei suoi aguzzini. Era Angela. Il suo sorriso, luminoso e rassicurante, era la sola cosa che vedeva. "Angela, amore mio, sto arrivando..." sussurrò dentro di sé, con un amore e una rassegnazione che lo avvolsero come una coperta calda. Il pugnale, ormai vicino, non aveva più importanza.
La luce delle candele sembrava spegnersi, il demone dissolversi, e tutto si ridusse a quella visione: Angela. Il suo volto, sereno e distante, era l'unica cosa che importava. E mentre il pugnale scendeva, tagliando il buio, M. si sentì finalmente libero, pronto a riunirsi a lei oltre il confine di questo mondo.
Parte 7: La maledizione continua
Il giorno seguente, il villaggio tornò lentamente alla sua routine, ma l'aria era pervasa da un silenzio inquietante e denso di tensione. I volti degli abitanti, pallidi e inquieti, tradivano un peso che gravava su di loro, come un'ombra che non poteva essere ignorata. Nessuno osava pronunciare una parola sull'accaduto, come se il semplice nominarlo potesse evocare di nuovo il terrore.
Il sole sorgeva sopra le case, ma la sua luce sembrava incapace di riscaldare gli animi inariditi dalla paura. I bambini giocavano, ignari della vita appena sacrificata, mentre gli adulti si scambiavano occhiate furtive, consapevoli che la vera maledizione non era solo quella del demone, ma quella insita nei loro stessi cuori. Ogni gesto quotidiano, ogni parola non detta, contribuiva a nutrire il potere oscuro che dominava le loro vite.
Il profumo del pane fresco si mescolava a un'atmosfera di rassegnazione. Ogni colpo di martello degli artigiani, ogni striscia di stoffa tagliata, sembrava un atto di sottomissione a una presenza maligna che prosperava grazie alla loro malvagità e ai segreti inconfessabili. Era come se ogni misfatto, ogni atto di egoismo e indifferenza avesse alimentato il demone, rendendolo sempre più forte e affamato di nuove vittime.
La maledizione, invisibile ma palpabile, aleggiava come un velo soffocante, avvolgendo ogni abitante in un abbraccio mortale. Le loro azioni, piccoli peccati quotidiani e atti di complicità, erano diventati l’essenza stessa della forza del demone, il quale si nutriva della loro oscurità interiore. Ogni sguardo sfuggente, ogni risata nervosa tra le strade, era un ulteriore tributo all'entità che controllava il loro destino, cementando il legame indissolubile tra la comunità e la malvagità.
Era chiaro che il ciclo di sacrifici non si sarebbe interrotto, e la consapevolezza di questa verità si insinuava nei cuori come un veleno, silenzioso ma letale. Il villaggio, un tempo vibrante di vita, era ormai un luogo di ombre, dove la speranza era stata soffocata dall'oscurità che loro stessi avevano contribuito a creare.