Raccontò della sua esperienza irlandese, Doyle, mentre si accingeva a tener occupato l’amico con le parole. “ Un’esperienza che tutti dovrebbero provare”, disse Doyle con occhi nostalgici ma accesi, “ è quella di bere del thé caldo e fumare una sigaretta, a Dublino, nel piccolo giardino della propria abitazione, lontano dal mondo e con il tirare di quel vento che scompiglia i capelli e che costituisce un dettaglio non poco importante”.
Secondo Doyle la vita andava vissuta vivendo a pieno, godendo di determinate situazioni, momenti.
“ Un dettaglio non poco importante”, sottolineò Doré con la sua voce così poco chiara e goffa, cimentandosi poi in una risata del tutto finta.
“ Perché ritieni il vento un dettaglio importante? L’emozione non dovrebbe risiedere interamente nell’idea di essere a Dublino, lontano dal mondo, gustando del thé e una sigaretta?”.
“Vaffanculo Doré” parlò Doyle “ in Irlanda la condizione meteorologica non è quasi mai delle migliori; il tempo è quasi sempre nuvoloso o piovoso e il vento accompagna sempre la pioggia o le nuvole, non può farne a meno, quindi ti rendi conto di essere in Irlanda proprio per quello. Capisci?”
Doré fece un cenno con il capo e lo chinò con un fare pensieroso.
“Forse dovremmo andare” sentenziò Doyle, alzando la testa al cielo per verificare l’intensità di grigio delle nuvole.
“ Tra poco scoppierà un acquazzone”.
Si alzarono entrambi dalla panchina in strisce di metallo verdi su cui erano poggiati e procedettero verso Est, lasciandosi alle spalle quel piccolo parco fuori città contenente panchine sparse, alberi, erbacce e affollamenti di pensieri.
Doyle Glasnev, figlio unico di un ragioniere e di una madre che non sfruttò al massimo le proprie potenzialità, viveva a Camden Town, zona situata a Nord di Londra, distante circa venti minuti dal centro di essa, in un appartamento al primo piano, non molto grande ma reso accogliente dalle attenzioni della madre e animato dalla presenza di Kelly, un pastore tedesco femmina, di circa tre anni.
La finestra della stanza di Doyle affacciava sulle acque del Regent’s Canal, precisamente sulla doppia chiusa di Camden e cioè Camden Lock. Essa lasciava intravedere la movida degli alternativi che frequentavano la zona a che ne animavano le notti.
Doyle li ammirava molto, erano così semplici ma complessi, e si lasciavano cullare tutt’insieme dalle parole, dall’alcool e dal fumo. Costituivano la maggior parte delle persone che frequentavano Camden. Tetri, come il loro modo di vestire, ma di grandi speranze, alte quanto le loro creste; e ribelli, più di qualsiasi ideale mai appartenuto a qualcuno. Impersonificavano le paure serali delle anziane e il timore degli ignoranti. Amavano l’estrosità, la musica non commerciale, la cultura tribale e l’arte del superare il confine stabilito dai sensi e Doyle voleva essere come loro.
Dopo aver salutato Doré con un cenno di mano, Doyle si affrettò a imboccare la via di casa.
Erano quasi le venti, era buio, e non tutte le luci dei lampioni in strada erano accese. Doyle controllò se avesse con sé le chiavi di casa e gioì al loro ritrovamento. Salì le scale e si fermò alla vista di quella porta marrone, non in ottime condizioni, e con su una targhetta con scritto “ Famigliola Glasnev”.
Tirò fuori le chiavi dalla tasca destra del jeans che indossava e aprì la porta. Nessuno era in casa, così si affrettò a raggiungere la sua stanza per aprire la finestra e fumare una sigaretta.
La vista da quella finestra lo faceva fantasticare sulla gente che vi passava di fronte e allo stesso tempo ne vedeva tutto il loro dolore.
E’ da quella finestra che vide la persona che gli cambiò la vita.
Tutti sperano, prima o poi, di incontrare la propria persona, e Doyle, verso la fine dei diciannove anni, lo sperava. Ebbe qualche storia non troppo seria, prima di allora, e pensò che forse era stato meglio così ma si rese conto di sbagliare.
Quella volta, dalla finestra della sua stanza, Doyle ringraziò gli astri, il cielo, gli oceani, ogni secondo dello scorrere del tempo e tutte le persone appartenute al mondo.
Quella sera era diversa. Gli parve di udire uno strepito provenire dalla cucina, andò a controllare, ma era solo la tv e uno di quei programmi ove il presentatore intervista persone a cui è accaduto qualcosa di brutto. Doyle spense la tv e ritornò in camera sua, spiaccicò la quasi morta sigaretta nel posacenere accanto al giradischi.
Possedeva una modesta collezione di LP di vecchia data e, un paio di volte a settimana, quando gli capitava di trovarsi solo a casa, si rilassava ascoltando musica proprio dal giradischi. Quella sera pose sul piatto rotante “ Led Zeppelin IV” e appoggiò la puntina di lettura in corrispondenza della settima e penultima traccia “Going to California”.
Si sedette sulla poltroncina nera in pelle che si trovava di fianco al letto, ma subito dopo una forza sconosciuta fece sì che si alzasse dalla poltroncina e si affacciasse alla finestra.
Mentre Plant cantava “ Someone told me there’s a girl out there with love in her eyes and flowers in her hair" ("
Qualcuno ha detto che lì c’è una ragazza con l’amore negli occhi e fiori fra i capelli"), Doyle la vide. Ebbe un colpo dentro, all’anima.
Qualcosa gli spostò uno qualsiasi dei suoi organi e all’improvviso lo avvolse la tranquillità.