seconda parte
il bruttissimo tempo non ci fermò. Papà non parlava, forse era emozionato e non disse nulla. Chi parlava a manovella era la cugina anche se non la ascoltavo. Entrammo in municipio alle quattro e mezza, appena in tempo, il sindaco visto il tempaccio voleva chiudere mezz'ora prima per tornare dalla moglie e godersi il suo caminetto . Era sicuro che non avremmo fatto in tempo, quando ci vide fu un po' contrariato
In breve tutto fu pronto : il sindaco, che non sapeva neppure allacciarsi la fascia. ( allora si portava in vita ).
La segretaria, che doveva redigere gli atti, lo sposo e la sua testimone. La sposa, io, col papà e mancava il mio testimonio. Serviva una marca da bollo da settantacinque lire. Nessuno di noi aveva settantacinque lire e alla segretaria venne l'idea luminosa : Vado dal tabaccaio gli chiedo se ha voglia di fare da testimonio per la sposa .
In men che non si dica fu di ritorno con un simpaticissimo signore che conoscevo di vista ed ebbi il mio unico regalo di nozze : una marca da bollo da settantacinque lire.
Si poteva procedere con le danze. Il sindaco aprì un librone che incuteva timore, e cominciò a leggere l'articolo che regolamentava la legge di famiglia : La moglie deve seguire il marito ....deve....deve... ecc..ecc.. Deve, deve, solo doveri e basta. Mi stavo annoiando, non una parola sui doveri del marito. Smisi di ascoltare. Li guardavo e non capivo più nulla di ciò che avveniva davanti a me. Non ero io, non riguardava me, io ero da un'altra parte.
Incrociai per un attimo gli occhi azzurri, bellissimi e umidi del mio papà che in quel momento era più consapevole di me della stranezza del momento.
Il sindaco fece una domanda, e ci volle un momento prima che capissi che era rivolta a me, e risposi.
Mentre pensavo < che ho detto ? > Sentii la voce di mio marito che rispondeva decisa alla stessa domanda.
Passammo alle firme. Mi stavo annoiando, che diamine, era pur sempre un matrimonio ci sarebbe stato bene almeno un applauso, una risata, invece niente. Dedicai uno po' di attenzione al mio meraviglioso abito da sposa.
Principesco. Pantaloni da sci, che avevano conosciuto tempi migliori, neri e lisi sulle ginocchia. Stivaletti color violetto col pelo all'interno, maglioncino di lana verde oliva col collo bianco che avevo confezionato io stessa. Il tutto coperto da una vecchia giacca a vento double face rosso-nera. Una vera sposa, elegantissima.
Saluti, saluti, auguri, auguri ... era tutto finito, ero sposata... e via di corsa a riportare a casa papà e salutare la mamma in lacrime, come si conviene alla mamma della sposa. Via di corsa verso Torino, verso casa di una parente che ci avrebbe ospitati per qualche tempo. Il viaggio fu un incubo in mezzo ad una bufera di neve pioggia e vento, e la strada che scompariva sotto le ruote. Finalmente le luci cittadine ci vennero incontro...
Questo accadeva il diciotto novembre del millenovecento sessantacinque.
Il paradosso : alcuni anni più tardi mi accusarono di aver fatto un matrimonio d'interesse.
Viva la vita.
Flavia