Mentre riordinavo la vecchia documentazione ho trovato  una lettera,  ancora chiusa,  che conteneva  l’estratto del  mio atto di nascita, in cui c’era scritto:
“Io sottoscrittoAntonio Murgia, impiegato comunale,certifico che il signor Onofrio  Mura si trova qui dinanzi a me e che mi comunica che il giorno 16 novembre 1957 alle ore 15,30 è nato un figlio maschio di nome Giovanni, che io non vedo,ma sono certo della sue esistenza essendomi basato su due  testimonianze: una di GiuseppeOrrù e una di Giuseppe Argiolas."
Mi ricordo di queste persone, erano due miei vicini di casa;. 
Giuseppe Orrùmorì, pochi anni dopo la mia nascita, di tumore,lasciando la moglie con due figli piccoli. Giuseppe Argiolas  lo vedevo quotidianamenteperché era in buoni rapporti con mio padre, ma adesso non c’è più. Un giorno  non tornò a casa dal lavoro, lo cercarono e lo trovarono morto nei campi.
Una cosa che ricordo di quando ero molto piccolo era la mietitura che  si faceva manualmente tagliando le spighe con la falce o col falcetto. Venivano fattein fascine,  e legati con delle piante di grano che fungevano da  corda, per trasportarle.La trebbiatriceera fissa,  veniva installata in un campo vicino al paese, detto l’aia,  e tutto il grano veniva trasportato li con i mezzi a disposizione, che erano:i camion, il trattore col rimorchio e i carri. 
Gli uomini caricavano le fascine delle spighe sul nastro trasportatore che li trasportava  all’ingresso della trebbiatrice, e dopo la trebbiatura i chicchi di  grano venivanofatti  confluire nei sacchi di juta e venivano portati nei granai, mentre la paglia veniva caricata su dei carri e portata nei fienili. La paglia serviva per dare damangiare al cavallo,insieme ad altri cereali,  oppure veniva usata  come tappetto per gli altri animali.
Dopo la mietitura nei campi di grano si poteva accedere liberamente alla raccolta delle spighe rimaste, infatti molte donne andavano a piedi e riempivanoun sacco di spighe che trasportavano sulla testa fino a casa.
Il grano veniva utilizzato o per la semina dell’anno successivo o veniva portato  almulino per la macina e per separare la farina dalla crusca;  la crusca veniva utilizzata per fare un pastone che veniva dato agli animali e la farina veniva usata  per fare il pane..
Ricordo che mia madre faceva il pane in casa una volta alla settimana, solitamente di sabato,  per mangiarlo morbido la domenica.Il giorno prima preparava il lievito, cheera la pasta cruda del pane della settimana prima, che nel frattempo si era essiccato, poilo metteva a bagno per ammorbidirlo e il giorno dopo lo mischiava con la farina. Il pane si cuoceva nel forno a legna,  che veniva scaldato accendendo  il fuoco fino a raggiungere la temperatura necessaria, poicon una scopa fatta di rami freschisi toglieva la cenere,  si chiudeva il cammino e si metteva il pane nel forno.Quel  pane appena sfornato era molto buono a volte  per fare le bruschette bastava aggiungere solo olio d’oliva e sale.
Il ritrovamento di quella lettera mi ha ritrasportato nelpassatofacendomiricordare gli anni sessanta,quando ero ancora molto piccolo; c’erano le macchine e  i camion, ma un mezzo di trasporto molto diffuso era il carro, che poteva  esseretrainato o da uncavallo o da deibuoi o raramente da un mulo o da un asino.Mentre il cavallo , l’asino ed il mulo erano utilizzati singolarmente i buoi viaggiavano sempre in coppia.Questi animali capivano alcuni ordini semplici e obbedivano.  Questi comandi,validi tuttora, erano “vai” , “fermati” , “vai piano” e “torna indietro”. Questi  ordinivenivano rafforzatiin vari modi:per tornare indietro e per girare a destra o a sinistra si tiravano le briglie mentre per camminare e  per aumentare la velocità siripeteva l’ordine a voce più alta e se non bastava si dava una frustata di rinforzo, ma comunque bastava solo lo schioccare di una frustata a vuoto per ottenere una buona accelerata. Questi animali capivano dalla voce di chi li chiamava se era uno che si faceva obbedire oppure no nel secondo caso non riusciva a farli fare nemmeno un passo.
Un’altra cosa che mi è rimasta impressa della mia infanzia erano i mendicantiche passavano di casa in casa a chiedere l’elemosina. Io ne ricordo uno in particolare con una gamba sola.Camminava con due stampelle di legno che puntellava sotto le ascelle e aveva la bisaccia per le offerte. Quando bussava da noi mia madre lo faceva entrare e se aveva fame gli dava da mangiare,  poi gli dava un panino o qualcos’altro da portare via, ma non poteva dargli dei soldi perché non ne avevamo, poi  lui ringraziava con la frase “Dio ti ringrazi” e continuava   nelle altre case.
Rispetto al passato che ho ricordato, adesso le cose vanno molto meglio ad esempio il grano viene raccolto dalla mietitrebbia che passa direttamente nei campi ed in un’ora fa il lavoro di cento uomini di allora.
Il pane si compra dal panettiere, ed i veicoli a trazione animale sono stati completamente sostituiti dai camion e dalle automobili,e gran parte dei mendicanti di una volta hanno la pensione persopravvivere.

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